Due dischi per tornare a immaginare il futuro – di Pieralberto Valli

di Pieralberto Valli *

Pieralberto Valli

Quando abbiamo perso la capacità di immaginare il futuro? Per anni abbiamo profuso ogni energia per disegnare nuove traiettorie, cadendo e rialzandoci, per ritrovare ciò che avevamo lasciato in qualche punto del domani. Fantascienza e sperimentazione, desiderio di camminare più veloci del tempo, per svegliare il futuro prima dell’alba. Il nuovo millennio, soprattutto nel nostro paese, ha inaugurato l’edificazione di muri infiniti sulla linea del tempo; ci accontentiamo di sopravvivere, di vivacchiare, di cibarci dei bocconi del passato, rimasticandoli, ri-digerendoli, ri-vomitandoli. L’indie italiano è una sommossa di restaurazione del nulla, è una crocifissione del coraggio, è un grido di miopia. Abbiamo perso la sfrontatezza per guardare, per guardarci e immaginare? Qualcuno, prima o poi, dovrà prendere tra le mani un sasso e scagliarlo verso quel muro, per riaprire uno spiraglio in cui lanciare lo sguardo. Perché anche i personaggi di Cecità di Saramago a un certo punto si destano e ritrovano la luce. Senza un motivo preciso, senza un vero e proprio atto di volontà. Per il momento ci accontentiamo di qualche ventata inattesa, pregustando il tanto atteso ritorno.

Kate Tempest – Let Them Eat Chaos
Europe is lost. America lost, London is lost.
Sette storie per sette personaggi sconosciuti. Cosa li unisce? Un’ora esatta: sono le 4 e 18 di notte e nessuno di loro riesce a dormire. Sono forse le uniche persone con gli occhi aperti su questa Terra? Forse, ma quel preciso istante che li accomuna incide su di loro un intreccio unico e archetipico e li avvolge proiettandoli in un tempo rappreso che rimanda agli squarci nella mente di Clarissa, in Mrs Dalloway.
Kate Tempest, ragazza bianca nata in una terra storicamente orgogliosa del proprio pallore, ricama trame vomitando versi lucidi e luccicanti, che devono tanto alla tradizione poetica anglosassone.
Non siamo nell’America descritta dai maestri dello spoken word – penso ai Watts Prophets o ai Last Poets – ma tra i mattoni dei sobborghi britannici, incollati al suolo dal peso di un cielo più plumbeo del solito. Siamo tra i nuovi proletari – economici, ma anche e soprattutto emotivi – che vagano con i propri telefonini in mano come lasciapassare per l’inferno. Unire gli incubi di Black Mirror al disprezzo dell’Orwell di Fiorirà l’aspidistra; inquadrare la piccola borghesia divenuta minuscola, inesistente, spazzata via da una modernità furiosa. Le vite fatte in serie che il protagonista di Orwell rifuggiva fino a un delirio schizofrenico sono le vite in forma di Ikea di un’Inghilterra che si sgretola senza reazione e si guarda intorno, sorpresa e sospesa, implorando il volto di un responsabile, di un nemico. England! England! Patriotism! Il presente è ribaltato: agli angoli delle strade, a inventare rime sotto a un lampione piovoso, non ci sono gruppi di afroamericani in cerca di riscatto sociale; c’è quella che fu la benestante classe media inglese, mentre la vita scorre via veloce, lontano. E noi? Siamo forse svegli?
Un disco che ha le unghie sulla linea del presente, ma che del presente non vuole accontentarsi.

Une Passante – Seasonal Beast
Si torna in Italia, ma si rimane al femminile. Une Passante, siciliana trapiantata a Firenze, con Seasonal Beast traccia una traiettoria simile: unire ricerca sonora e testuale, tentare la grande fuga dal presente pur rimanendo nel presente, il proprio. Nel nostro paese volare bassi è diventato un valore da sfoggiare. Chi si fa troppe aspettative viene bollato come estremista da onorare, semmai, dopo la morte. Ma la musica non è questo. Non è questo e non lo sarà nemmeno se quattro imbecilli con i risvoltini hanno eretto un nuovo tempio ai propri idoli di cartapesta. Une Passante sceglie di osare, osa anche oltre il senso comune, cerca un luogo dove rimanere, un luogo da abbandonare. Lavora per stratificazioni infinite, scava e scava per lasciare la superficie liscia e libera da impurità. Per gli standard attuali, Seasonal Beast è un disco ostico, non immediato, costruito con meticolosa attenzione; la stessa che bisognerebbe dedicare all’ascolto. Non per fare un piacere all’autrice, ma a noi stessi.

* Insegnante di inglese, nato a Cesena nel 1980, Pieralberto Valli vive e lavora a Roma e in passato ha vissuto in Inghilterra, Bosnia e Spagna. Già leader dei Santo Barbaro, il 24 febbraio è uscito per Ribèss Records il suo debutto solista, “Atlas”, all’insegna di un sofisticato pop d’autore cantato in italiano con venature elettroniche.

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