Venti dischi da non perdere del 2016: una classifica

Un ottimo anno, il 2016, dal punto di vista della produzione musicale, il migliore da alcuni a questa parte, beffardamente funestato anche da lutti di forte impatto (Bowie e Cohen su tutti, entrambi presenti nelle classifiche di mezzo mondo anche con i loro ultimi, in ogni senso, dischi).

In generale (qui si parla di musica rock in senso lato, fatta eccezione per il jazz e la classica, tanto per intenderci) la sensazione è che il nuovo sia paradossalmente da ricercare in ambito black e per qualche verso pure mainstream, dove la cura dei suoni da alcuni anni a questa parte sta facendo la differenza e dove in generale gli steccati sono caduti fragorosamente, basti pensare all’hip hop. Il 2016 è stato anche l’anno di alcuni importanti ritorni di mostri sacri della scena rock internazionale, con dischi all’altezza, se non sorprendenti: da Nick Cave ai Radiohead, da Pj Harvey a Neil Young, fino ai già citati Bowie e Cohen.

Fine del preambolo, ecco una classifica, del tutto soggettiva, ma che cerca di tenere conto anche dei generi più svariati, con il rock inteso in senso più classico (chitarra-basso-batteria) sempre più ai margini, se non del tutto assente.

20. Alfio Antico – Antico

Un disco che profuma di terra e di Sicilia, di grotte e di “sporco”. Tamburello e suoni (anche belati) sparsi, cantato in (incomprensibile) dialetto: il folklore come dovrebbe rinnovarsi, lontano dai luoghi comuni, vero, disturbante. Non per tutti, ma un disco da non dimenticare. L’unico italiano – per scelta, non per demeriti particolari – in questa classifica, ma che con la scena italiana non ha naturalmente nulla a che fare.

19. Anohni – Hopelessness

La nuova vita di Antony, senza le atmosfere orchestrali dei “the Johnsons”, ma con i battiti elettronici di Hudson Mohawke e Oneohtrix Point Never che sembrano essere nati per la sua voce. Ed è una gran festa.

18. Leonard Cohen – You Want It Darker

L’ultimo disco di Cohen, pubblicato poco prima della morte, lo riporta vicino ai suoi vertici, senza stravolgimenti, grazie alla collaborazione anche del figlio, a canzoni eleganti. E a quella voce.

17. Anderson .Paak – Malibu

Uno degli esponenti della “rivoluzione” black di questi anni, con un grande disco che unisce soul, r’n’b, atmosfere jazzate, rap e pop, forse un po’ dispersivo e al limite del patinato, ma pieno di invenzioni e melodie riuscite.

16. Blood Orange – Freetown Sound

Qui la black si unisce al funk, all’electro, frullati con una sensibilità da cantautore, per un suono ormai chiaramente “Blood Orange”, nel suo piccolo un grande successo.

15. Neil Young – Peace Trail

Con il Cavallo Pazzo non è mai semplice, così scostante, con una carriera piena di alti (altissimi) e bassi, con i fan pronti a portarlo in trionfo dopo ogni disco. Anche per quest’ultimo, qualcuno ha parlato di capolavoro, in molti (soprattutto all’estero) lo hanno stroncato: personalmente questo Neil Young più intimo, sporco, traballante, piace molto, sarà anche solo per come ti mette a tuo agio l’iniziale omonima, che è molto il Neil Young che preferisco.

14. Tim Hecker – Love Streams

In ambito elettronico il 2016 sarà ricordato probabilmente per il mastodontico nuovo Autechre (un quintuplo che necessita da parte mia di ulteriore tempo, ma che vi consiglio a scatola chiusa comunque), ma il nuovo Hecker forse è passato un po’ troppo sotto silenzio. Un maestro digitale che gioca con la musica (con tanto di cori) antica, per un risultato molto simile a un’opera d’arte da “esporre” in un museo.

13. Roy Montgomery – R M H Q: The Headquarters

Figura di culto assoluto, il neozelandese torna dopo quindici anni dall’ultima volta con un quadruplo che passa dal folk apocalittico (o qualcosa del genere) a inquietanti strumentali che sfiorano il metal, citano le colonne sonore e l’avanguardia pura, flirtano con la psichedelia e suonano pure shoegaze. Per un ascolto non così impegnativo come potrebbe sembrare e molto stimolante…

12. Lambchop – Flotus

Ormai era lecito pensare che i grandi Lambchop non avessero più nulla da dire: dopo aver marchiato a fuoco l’alternative country a cavallo tra anni novanta e inizio anni zero, non pubblicavano qualcosa di davvero rilevante da troppo tempo. Così è nata una piccola rivoluzione, spazio all’elettronica e a citazioni nu-soul: molto rischioso, ma anche tutto piuttosto riuscito. Con la solita classe.

11. Shackleton – Devotional Songs

Tra opera lirica, musica contemporanea, tribalismi, elettronica, psichedelia, esoterismo e ripetizioni alla Steve Reich per l’opera più ambiziosa di un genio contemporaneo misconosciuto come il producer inglese, qui in collaborazione con il cantante “castrato-style” (per citare la stampa) siciliano Ernesto Tomasini. Spiazzante, ma è ancora una volta un centro.

10. Rihanna – Anti

Un album, almeno per chi scrive, sorprendente: confezionato in maniera impeccabile, zero ammiccamenti gratuiti al grande pubblico, zero (o quasi) singoli da classifica, suoni eleganti e minimali. Dicono che non c’entri nulla con la vecchia Rihanna, credo che non andrò a verificare…

9. Bon Iver – 22, A Million

Un disco che giustamente ha diviso parecchio, perché non si può dire sia un’opera riuscita, di certo è qualcosa di intenso e di ascoltato poco finora, con questi livelli di alienazione. Folk apocalittico, versione 2.0.

8. Beyoncé – Lemonade

Ormai “sdoganata” da anni nel resto del mondo, in Italia finalmente è riuscita a entrare anche nei circuiti alternativi con il suo album più completo, da vera regina dell’r&b contemporaneo, come ormai la definiscono tutti. Piuttosto oggettivo.

7. Radiohead – A Moon Shaped Pool

Ottimo album, come prevedibile, da fuoriclasse. Il difetto è che è anche troppo Radiohead. E visto che la rivoluzione l’hanno già fatta, non vedo come possano uscirne… Va (molto) bene comunque così.

6. Solange – A Seat at the Table

Ancora meglio di Beyoncé fa la sorella (sorella sul serio) Solange, che aggiunge al suo nuovo soul sfumature inedite e neppure troppo scontate, da ricercare in un album molto vasto e vario, che richiede più attenzione di quello che può sembrare a un primo ascolto.

5. Chance The Rapper – Coloring Book

Lo chiamano gospel rap, ma dentro questo variopinto contenitore c’è un po’ di tutto e sarebbe un peccato finisse solo tra le mani degli appassionati di rap (o di gospel, se esistono). Questa è semplicemente la musica nera del ventunesimo secolo. Divertente.

4. Pj Harvey – The Hope Six Demolition Project

Immensa, Pj Harvey, tra chitarre e sax (in particolare, ma è un lavoro molto corale, che vede protagonisti anche i nostri Stefana e Gabrielli), guerre e politica, sforna un altro disco che definire della maturità è poco. Questo è quello che dovrebbe essere, in ogni senso, il rock nel 2016, peccato ce lo dica una 47enne, con tutto il rispetto.

3. Frank Ocean – Blond

A proposito di musica nera del ventunesimo secolo: Frank Ocean dopo il debutto clamoroso di quattro anni fa torna in punta di piedi e fin quasi sottovoce, dando lezione di stile a tanti che in questo campo preferiscono mostrare i muscoli. Un piccolo-grande disco di soul d’avanguardia, chiamiamolo così…

2. David Bowie – Blackstar

Più che un album, un’opera d’arte. Si è talmente gridato al capolavoro, che alla fine veniva quasi da ripensarci… Poi se lo si riascolta, a un anno di distanza, non si può però che restare a bocca aperta davanti all’incredibile ultimo passo di Bowie (di cui chi scrive non è mai stato grande fan), tra avanguardia, jazz, prog, glam e art-rock.

1. Nick Cave – Skeleton Tree

Probabilmente (anzi, sicuramente, se solo si considera per l’appunto Blackstar) non è il disco migliore del 2016. Ma è quello che forse è più in grado di emozionare i suoi fan, indipendentemente dalla morte del figlio. O almeno questo è stato l’album più emozionante per chi scrive, un oggetto a parte nella discografia di Cave, una sorta di ambient-rock impregnato di dolore che si allontana e poi si riavvicina alla forma canzone più tradizionale senza per questo risultare discontinuo. Da lacrime.

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