Che dispiacere può essere un piacere

Che DispiacereCosa può aspettarsi un lettore da un libro, Che dispiacere (Salani), che ha una fascetta gialla con frasi elogiative di Carlo Lucarelli e di Sandrone Dazieri? E se il sottotitolo poi recita “Un’indagine su Bernardo Barigazzi”?
Quel lettore può conoscere Paolo Nori, l’autore appunto, oppure no. Nel primo caso sa che pubblica dal 1999 (ha esordito con Fernandel); è traduttore di scrittori russi; ha firmato decine di romanzi e un importante lavoro di analisi letteraria (il più recente è I russi sono matti del 2019).
Quel lettore può dire: «Forte! Come sarà un giallo scritto da lui?». Nel secondo caso si inizia a leggere senza preconcetti, né in un senso, né nell’altro: si vuol vedere come sia questa indagine. A me è andata così.

Che dispiacere si apre alla Loriano Machiavelli: con l’elenco dei personaggi e la spiegazione dei rispettivi ruoli. E, come con Sarti Antonio, le professioni sono descritte in modo da anticipare, attraverso l’ironia, le caratteristiche di ognuno. Un esempio, il protagonista del sottotitolo, Bernardo Barigazzi: «scrittore che ha cominciato a fare il giornalista sportivo ma non l’ha detto a nessuno».
Un colpo di genio: Bernardo dirige e scrive, con pochissimi collaboratori, il periodico sportivo Che dispiacere; ha una caratteristica: va in edicola solo dopo una sconfitta della Juventus.

Quando si inizia a leggere non si pensa però a un thriller; e c’è il rischio di essere presi dalle vertigini: la scrittura fila velocissima, con costruzioni acrobatiche, passaggi dalla prima alla terza persona e ritorno, ripetizioni, dialettismi “tradotti”, capitoli lampo. Un linguaggio che finge di essere spontaneo ed è invece costruito con minuzia e impegno certosino. Non basta: anche le descrizioni viaggiano sullo stesso binario: «A Marzia correre piaceva per diversi motivi. Per il fatto che era un’attività noiosa, e faticosa […]».

Così che ci sia un omicidio, con un ultras accoltellato; che indaghino addirittura due commissari; che si parli quasi sotto traccia di partite truccate; ecco, tutto questo diventa secondario di fronte alla potenza ironica dei personaggi e dei loro tic. C’è nel sottofondo un ricordo della serie di romanzi di Carletto Manzoni, La suspense del riso, straordinaria versione umoristica dell’hard boiled school. Fra bariste e nonni dalle orecchie pelose, con le pantofole del Bologna, il colpevole viene scoperto e tutto torna a posto.

L’indagine quindi c’è. E la si scopre dopo aver riso molto. Se si è superato lo choc dell’aspettativa tradita. Perché leggere Che dispiacere può essere un grande piacere. Un consiglio, però: chiediamo scusa a Lucarelli e Dazieri… dopo aver buttato nel cestino la fascetta e i loro commenti.

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