Fra Piemonte e Valle d’Aosta, un po’ di storia italiana

C’era una volta il Regno di Sardegna, poi Regno d’Italia, a defininire il territorio nazionale

Palazzina Di Stupinigi Torino

La Palazzina di caccia di Stupinigi a Torino

Appunti su casa Savoia: Carlo Alberto, Re Tentenna o Re Travicello?

Carlo Alberto, principe di Carignano, aveva vissuto e studiato in Francia durante il periodo Napoleonico, acquisendo un’educazione liberale. Già nel 1821 sembrò dare appoggio ai patrioti risorgimentali che volevano imporre una costituzione a suo padre, il re di Sardegna Vittorio Emanuele I. Ma dopo alcuni mesi ritirò l’impegno, divenne conservatore e nel 1823 partecipò alla spedizione legittimista contro i liberali spagnoli.
Pur non essendo destinato al trono, diventò re dello Stato sabaudo nel 1831 alla morte dello zio Carlo Felice che non aveva eredi. Da sovrano mantenne dapprima un atteggiamento conservatore, durante il quale appoggiò vari movimenti legittimisti d’Europa.
Nel 1848 si avvicinò tiepidamente all’idea di un’Italia federata, guidata dal Papa e libera dagli Asburgo (movimento neoguelfo), suscitando nei liberali di tutta Italia aspettative di sostegno ai moti di liberazione nazionale, tanto più che arrivò a concedere in Piemonte lo Statuto (carta costituzionale che sarebbe rimasta in vigore prima nel Regno di Sardegna e poi nel Regno d’Italia fino al 1947).
Su quella scia guidò le forze che lo portarono alla prima guerra d’indipendenza contro l’Austria nel territorio Lombardo- Veneto ma, abbandonato da Papa Pio IX (che pure aveva appoggiato la “Repubblica Romana” cambiando quasi immediatamente idea) e dal re Ferdinando delle Due Sicilie, dopo la sconfitta nel 1849 abdicò in favore del figlio Vittorio Emanuele. Morì in esilio qualche mese dopo nella città portoghese di Oporto. Passò alla storia col nomignolo di “Re Tentenna”.

Il Re Travicello
Il Re Travicello / 
piovuto ai ranocchi, / mi levo il cappello
 / e piego i ginocchi;
 / lo predico anch’io
 / cascato da Dio:
 / oh comodo, / / oh bello
 / un Re Travicello!
 / Calò nel suo regno
 / con molto fracasso;
 / le teste di legno
 / fan sempre del chiasso: / 
ma subito tacque,
 / e al sommo dell’acque
 / rimase un corbello
 / il Re Travicello.
 / Da tutto il pantano
 / veduto quel coso,
 / «È questo il Sovrano / 
così rumoroso?» / (s’udì gracidare).
 / «Per farsi fischiare
f / a tanto bordello
 / un Re Travicello?
 / Un tronco piallato
 / avrà la corona?
 / O Giove ha sbagliato,
 / oppur ci minchiona:
 / sia dato lo sfratto / 
al Re mentecatto,
 / si mandi in appello
 / il Re Travicello».
 / Tacete, tacete; / 
lasciate il reame,
 / o bestie che siete, / 
a un Re di legname.
 / Non tira a pelare,
 / vi lascia cantare,
 / non apre macello
 / un Re Travicello.

Giuseppe Giusti (poeta toscano attivo nei movimenti democratici ottocenteschi)

La poesia di Giuseppe Giusti riprende con ironia una classica fiaba di Esopo

Le rane e il sovrano travicello
C’era una volta uno stagno pieno di rane che facevano quel che volevano: saltavano di qua e di là, oziavano e gracidavano dalla mattina alla sera. Un giorno, decisero di chiedere a Zeus un sovrano che insegnasse loro a vivere rispettando le regole e la disciplina. Zeus, divertito da questa richiesta, gettò nello stagno un travicello di legno. Il travicello cadde in acqua con un gran tonfo: le rane, spaventate, si rintanarono nel fango sul fondo dello stagno e per un po’ non uscirono. Poi, vedendo che il travicello di legno galleggiava immobile sulla superficie dello stagno, andarono a vederlo più da vicino.
Cominciarono a toccarlo, poi a saltarci sopra: il travicello non si muoveva e non diceva una parola. Presto, le rane tornarono alla vita sregolata e allegra di prima, ignorando il loro re. Dopo qualche tempo, le rane tornarono da Zeus e gli chiesero un nuovo re: “il re che ci hai mandato è una nullità; noi vogliamo un sovrano che ci faccia rispettare le sue regole”. A questo punto, Zeus gettò nello stagno un serpente, che cominciò a divorare tutte le rane che trovava. Per la paura, le rane smisero di gracidare e cominciarono a vivere nascoste tra le canne o nel fango. Le rane superstiti tornarono sull’Olimpo, supplicando Zeus di riprendersi quel serpente malvagio. Ma il capo degli dei disse loro: “Vi avevo mandato un buon re e voi l’avete rifiutato. Adesso, tenetevi quello malvagio”.
Meglio tenersi una situazione mediocre che rischiare, cambiando, di peggiorarla drasticamente. 

Appunti su casa Savoia: Vittorio Emanuele II (Re galantuomo o Re cacciatore?) e la bella Rùsin

Aosta Monumento Al Re Cacciatore

Monumento al Re Cacciatore ad Aosta

Vittorio Emanuele II, succeduto nel 1849 al padre Carlo Alberto col titolo di Re di Savoia, fu da subito definito “Re galantuomo” perché non abolì lo Statuto concesso da Carlo Alberto, e immediatamente considerato dai patrioti risorgimentali protagonista della lotta ai vari regimi stranieri che allora occupavano l’Italia.
Impegnato nelle cosiddette seconda e terza guerra d’Indipendenza (considerate guerre di dilatazione del Regno di Piemonte), la spedizione dei Mille si svolse col solo suo consenso, essendo condotta quasi “privatamente” da Garibaldi (con l’appoggio di imprenditori piemontesi e britannici) che gliela consegnò infine come terra di conquista.
Alto 1,58, tarchiato, dai lineamenti pesanti, con la carnagione rubizza, rozzo, per nulla raffinato, restò per tutta la vita poco colto, come si nota nelle sue lettere rimaste, odiando lo studio e preferendo la caccia e la vita di campagna.

Fu nel castello reale di Racconigi (in piemontese ël castel ëd Racunìs, in provincia di Cuneo ma poco distante da Torino) – sede delle «Reali Villeggiature» della famiglia Reale nei mesi estivi e autunnali, con annessa palazzina di caccia –, che l’allora principe ereditario conobbe Rosa Maria Chiara Teresa Aloisia Vercellana, poi nota come la Bela Rosin, il cui padre dirigeva il presidio militare della tenuta di caccia. Allora, nel 1847, Vittorio Emanuele aveva 27 anni, era sposato con l’austriaca Maria Adelaide d’Asburgo- Lorena e aveva già quattro figli. Lei aveva solo 14 anni. La ragazza, che era analfabeta, (come il 90% della popolazione dell’epoca), fu dapprima l’amante e in seguito (dopo la morte della regina, nel 1855) la moglie morganatica del re, che le concesse i titoli nobiliari minori di Contessa di Mirafiori  (territorio a sud di Torino) e di Fontanafredda (territorio di Serralunga d’Alba).
Il loro rapporto iniziò e continuò clandestinamente, con la disapprovazione di Carlo Alberto e in violazione di una legge secondo cui era punito con durezza l’allontanamento di ragazze minori di anni 16 dalle loro famiglie. Rusìn venne allora trasferita nella residenza della palazzina di caccia di Stupinigi, molto più vicina a Torino, in una dipendenza del parco stesso.
Il re mantenne la relazione con lei per tutta la vita, nonostante le sue altre numerose amanti e avventure, ed ebbe da lei due figli. Certamente, con Rosina il “re cacciatore” si trovava a fare una vita ben diversa da quella di corte, dalla quale scappava non appena poteva.

Da Stupinigi a Venaria Reale in bicicletta

Rosa Vercellana e Vittorio Emanuele II Di Savoia

Rosa Vercellana (la bela Rosin) e Vittorio Emanuele II di Savoia

Un percorso di una ventina di chilometri unisce le due massime bellezze storiche e architettoniche patrimonio dell’Unesco: la palazzina di caccia a Stupinigi e la reggia di Venaria Reale. Senza trofei di caccia, ma carichi di spazi aperti e di bellezza. 
Il percorso taglia Torino in direzione nord al 90% su strade pedonali e ciclabili, attraversando inoltre il parco Ruffini e quello della Pellerina. Il tragitto si percorre in tutta calma in circa 2 ore con una comoda bici da passeggio. A questi link percorso ciclabile e la visita alla palazzina di Stupinigi

 

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