Tullio Pericoli: «I volti sono paesaggi»

Una non-intervista all’artista, in occasione della mostra in corso a Bagnacavallo

Tullio Pericoli nel suo studio

Solitamente è refrattario ai giornalisti, ma questa volta accetta di fare l’intervista. «A patto che non sia fatta di domande e risposte». Una richiesta piuttosto originale visto che le interviste sono per loro natura un susseguirsi di domande e di risposte, a volte centrate a volte evasive.

Però a Tullio Pericoli non si può dire di no. Inizia così un dialogo senza punti interrogativi e senza certezze, come deve essere l’arte che racconta senza il bisogno di parole.

Sembra un uomo molto più giovane, ma ha più di ottanta anni, trascorsi a dipingere, disegnare e creare piccoli mondi di linee e tratti. Tullio Pericoli è uno degli artisti più rappresentativi del disegno italiano.

Nella mostra “Tullio Pericoli. Storie di volti e di terre” – al Museo Civico delle Cappuccine di Bagnacavallo fino al 23 luglio – sono accostati due dei temi che caratterizzano l’opera di Pericoli, volti e paesaggi. Paesaggistica e ritrattistica sono solitamente considerate due categorie nettamente separate che Pericoli riunisce perché ci dice «i volti sono paesaggi. Se si osservano volti di persone anziane l’età disegna linee sui loro visi, come su quelli delle montagne». Il tempo unisce le persone e l’ambiente, il tempo che scorre e lascia i suoi sedimenti, scava i suoi solchi. Come i fiumi. Come la pioggia. Come lo scorrere della vita.

La terra che racconta Pericoli è quella della sua infanzia, sono le Marche. I volti invece non sono mai di pittori, ma di scrittori come Pier Paolo Pasolini, Ernest Hemingway, Samuel Beckett, Franz Kafka e Virginia Woolf. «Ho ritratto pochissimi pittori nella mia vita perché temevo che la loro pittura avrebbe influenzato la mia mano. Disegnare Picasso senza lasciarmi coinvolgere dalla sua opera sarebbe stato impossibile. Ho preferito sempre gli scrittori perché con le loro opere fanno parte della mia vita. Beckett è un volto tra i più belli del ‘900. È come una mappa in cui si possono leggere percorsi».

Non ama gli autoritratti, Pericoli. Ne ha fatti suolo due nella sua vita, in uno è di spalle e l’altro lo ha distrutto. «Purtroppo online si trova ancora, non riesco a farlo scomparire. Però il disegno originale l’ho distrutto. Non so come fare a cancellarlo del tutto. L’autoritratto è una cosa molto complessa, solo Rembrandt è riuscito a fare una cosa straordinaria. Bisogna confrontarsi col proprio io e con la propria interiorità e io ancora non ci riesco».

Pericoli ha una storia che è come un ruscello con tante diramazioni e tante deviazioni che è passata dal teatro, alla pittura, al disegno politico. «Ho voluto sperimentare quanto si può trarre dalla punta di una matita».

La parola “illustratore” non gli piace perché viene usata come se la pittura fosse gregaria a qualcosa, «ho sempre cercato che le mio opere fossero indipendenti dal contesto».

L’anziano maestro dà un consiglio ai giovani autori: «Non usate il computer! Lavorate con il vostro cervello e la vostra mano. Sentite attraverso le nervature del braccio e della mano quello che fate. Il computer sta anestetizzando le opere, le sta rendendo come dei manufatti prefabbricati».

La parola “prefabbricato” che usa Pericoli mi fa venire in mente il ready-made dei dadaisti e la spinta che hanno dato in questa direzione artisti come Andy Warhol secondo cui l’effetto sociale di un’immagine era più importante della sua creazione. Credo che Warhol con la capacità di diffondere e “clonare” dei computer di oggi si sarebbe probabilmente trovato molto a suo agio. Pericoli arriva da un’altra strada dell’arte, che oggi sembra un po’ perduta, quella del disegno e della pittura. Solo in Inghilterra pare essere sopravvissuta questa che un tempo era la via maestra e che oltre manica ha avuto rappresentati illustri anche nel contemporaneo come Lucian Freud e Francis Bacon. Da noi le mani si sono spostate dalla tela alla tastiera del computer. Ma forse qualche artista in erba ascolterà il richiamo di Pericoli. Alla fine un pittore che si sporca le mani di matita e di tempera rimarrà sempre una figura affascinante.

 

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