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Gli studenti per l’ambiente: «Basta accordi tra Università e colossi del fossile»

Riceviamo e pubblichiamo un report di Marina Mannucci, attivista per l’emergenza climatica, dall’assemblea di qualche giorno fa al centro sociale autogestito Spartaco di Ravenna.

Una porzione dell’impianto Eni Versalis a Ravenna

Venerdì 15 marzo allo Spartaco di Ravenna si è tenuta un’assemblea pubblica per presentare End Fossil, mobilitazione internazionale di studentesse e studenti finalizzata a porre fine agli accordi di aziende del fossile con le università e la ricerca. Si tratta di collaborazioni che nel migliore dei casi consentono di rendere più ecologica l’immagine di società che operano all’interno del settore dei combustibili fossili (cosiddetto Big Oil) e che, nel peggiore dei casi, distorcono la ricerca e l’apprendimento contribuendo a mantenere i combustibili fossili al centro delle strategie energetiche presenti e future. Queste azioni sono riuscite a realizzarsi sia perché le università lo consentono, sia perché lo spazio da riempire è stato lasciato vuoto dal definanziamento pubblico dell’istruzione e della ricerca.

Durante l’incontro, studentesse e studenti universitari hanno espresso preoccupazione per l’influenza e i condizionamenti che il settore della difesa e il settore dell’oil&gas agiscono sulla ricerca universitaria. È stata messa in evidenza la mancanza di trasparenza sui finanziamenti elargiti dalla società pubblica italiana Leonardo (attiva nei settori della difesa, dell’aerospazio e della sicurezza) e dall’Eni – Ente Nazionale Idrocarburi per accordi di collaborazione, corsi di laurea e borse di studi con le università. Nell’esporre i contenuti e le ragioni della campagna, studentesse e studenti hanno rilevato che Eni con la sua condotta viola diritti umani e ambientali e allontana l’Italia dall’accordo di Parigi, firmato da 194 paesi e dall’Ue per limitare il riscaldamento globale: «Come studenti/studentesse – è stato dichiarato – possiamo e dobbiamo sviluppare una coscienza politica che abbia al centro il nostro ruolo nella società: quello di produrre e riprodurre sapere. Il sapere che produciamo e che conserviamo è un sapere istituzionale e sono la scuola e l’università a dargli forma, a decidere cosa dobbiamo studiare, su cosa dobbiamo fare ricerca e a quali risultati dobbiamo arrivare. Quindi è fondamentale capire quali interessi muovono le Istituzioni per le quali studiamo: l’Università di Bologna/Unibo fa accordi con decine di aziende che sostanzialmente le danno soldi (non pochi) per avere in cambio studi, ricerche e tecnologie che aiutino la loro produzione e aumentino i loro profitti. Si parla di aziende come Leonardo, le società del big tech e dell’informatica della sorveglianza, e colossi del fossile come Intesa San Paolo, Snam ed Eni. Queste ultime finanziano molte università in Italia con accordi poco trasparenti e ambigui. Ad esempio, Eni, fra il 2017 e il 2022, ha ceduto a Unibo circa 5 milioni di euro per avere in cambio ricerche sui combustibili fossili sulle quali ha diritto esclusivo, ovvero può decidere cosa farci e cosa pubblicare quasi senza limitazioni da parte di Unibo. Questo significa che tutto il sapere che produciamo come studenti, la cultura che assorbiamo e che forse un giorno insegneremo, è permeata dall’ideologia del neoliberismo capitalista e dalla cultura dell’abuso sulla natura. Chi non si attiva contro questo sistema di università-azienda è complice dei suoi frutti: dalle emissioni incontrollate di CO₂ alla produzione di droni da guerra, fino al risultato finale di un mondo sempre più asimmetrico e controllato da pochi colossi. Nella nostra situazione sentiamo la necessità di fare qualcosa contro queste ingiustizie, e quindi agire per un’università libera dagli interessi di Eni, Leonardo, BlackRock e di tutti gli altri. Come recitava uno slogan in voga vent’anni fa, loro saranno anche ricchi e potenti ma noi siamo otto miliardi. Gli accordi Eni-Unibo del 2017-2022 hanno dato vita a progetti ambigui come il Corso di laurea magistrale internazionale in Offshore Engineering di Ravenna, utile per formare i futuri tecnici e dirigenti di ENI. Nel 2022 gli accordi sono stati rinnovati ma non sappiamo per che cifra e per quali obbiettivi. A causa della poca trasparenza siamo a conoscenza solo di pochi dati, come ad esempio che Unibo ed ENI creeranno nel tecnopolo ravennate un laboratorio congiunto di ricerca sulle tecnologie di cattura e stoccaggio del carbonio e sull’implementazione dell’idrogeno che chiamano verde ma che si porta dietro molti dei problemi di petrolio e metano, problemi mascherati dalla retorica del greenwashing e dello sviluppo sostenibile. Confidiamo nel fatto che l’università potrebbe e dovrebbe avere il ruolo di porre fine a rapporti con il business dei combustibili fossili».

Speriamo allora che, grazie all’attivismo di queste studentesse e questi studenti, Unibo campus di Ravenna interrompa qualsiasi accordo di greenwashing con le aziende del fossile e scelga la strada dell’Università di Barcellona (la UB), la prima al mondo, che si è impegnata, a partire dall’anno accademico 2024-2025, a trasformare la crisi ecosociale in materia obbligatoria e trasversale per tutte le facoltà e tutti i corsi di laurea.

Marina Mannucci