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Il presidente Arcigay: «Nessuna scuola ci chiama per i nostri progetti»

Ciro Di Maio è anche nel direttivo nazionale dell’associazione e racconta: «Ancora tanti attacchi e pregiudizi, abbiamo presentato le nostre proposte, ma nessun istituto purtroppo ci ha mai contattato»

Da maggio 2018 è il presidente di Arcigay Ravenna e siede nel consiglio nazionale dell’associazione più nota (e l’unica in città) che difende i diritti del popolo Lgbtq (acronimo per lesbiche, gay, bisessuali, transessuali, queer), Ciro Di Maio, 35 anni, consulente fiscale, da un paio d’anni “sposato” (come ama dire lui) con il compagno dopo dieci anni di relazione, ci incontra al circolo Arci Dock 61, uno dei posti in cui del resto Arcigay ama organizzare alcuni dei propri appuntamenti che coinvolgono ogni volta decine di persone.

«Sì, ci incontriamo a Cittattiva e organizziamo serate in posti come questo, aperti a tutti, all’insegna della trasparenza totale e abbiamo uno sportello a cui si rivolgono le persone per chiedere informazioni e anche aiuto. In futuro ci piacerebbe poter offrire anche un servizio di consulenza psicologica».

Quante persone gravitano intorno ad Arcigay qui a Ravenna tra iscritti, militanti e simpatizzanti?
«Difficile dirlo, perché anche qui, come altrove, molte persone preferiscono fare attivismo o partecipare a serate ed eventi al di fuori della propria città».

Questo è un segnale che ancora c’è chi preferisce nascondersi, perché ancora il pregiudizio è così forte?
«Purtroppo è così, possono arrivare attacchi in ogni contesto in cui ci troviamo, dalle occhiatacce a far la spesa fino alle difficoltà sul lavoro e non tutti hanno voglia di affrontare questa situazione. Io personalmente ho un carattere tale per cui riesco a non farmi problemi, ma si può capire chi invece vive il tutto con più difficoltà».

Quindi ha ragione chi dice che, per esempio, il coming out di Elly Schlein, neovicepresidente della Regione, è importante e che c’è ancora bisogno di segnali come questi…
«Sì, è vero, perché in tanti non riescono a fare il proprio coming out e hanno bisogno di riconoscersi in persone di successo che ce l’hanno fatta nel proprio ambito, che sia la politica, lo sport, lo spettacolo, nonostante il pregiudizio di cui ogni omosessuale è vittima. Purtroppo è ancora necessario soprattutto per chi vive magari in provincia, in ambienti piccoli dove è facile sentirsi isolati, nonostante i social facilitino i contatti».

E Sanremo? Quanto è stata importante la battuta sul marito di Tiziano Ferro?
«Lo è stato sicuramente, perché è sembrata naturale, ha dato l’idea che così come si è sempre scherzato sul marito o la moglie etero, esiste anche l’opzione del marito o della moglie omosessuali. Cosa che ancora non è affatto scontata».

In effetti, anche tra ragazzini “gay” viene spesso usato ancora come un’offesa. Come si combatte il pregiudizio? Voi siete presenti, per esempio, nelle scuole?
«Purtroppo no, è da quando si è isediato questo direttivo che vengono proposti progetti che sono inseriti nel Pof (Piano di offerta formativa) che il Comune propone ogni anno alle scuole. Ogni anno ne abbiamo presentati quattro per diverse fasce di età, quarta e quinta elementare, medie, superiori e anche per il personale scolastico, docente e non docente. Poiché non abbiamo esperienza diretta, abbiamo chiamato professionisti e persone esperte, lavorando con il Cassero Scuola di Bologna. Ma nonostante questo nessun istituto ha mai chiesto di realizzare i progetti. Siamo forse l’unica associazione che non lavora nelle scuole. Alcune ci hanno chiesto materiali, ma niente di più. Come a dire, vogliamo occuparci del tema, ma non vogliamo voi nella scuola…».

E il mondo dello sport? Anche gli spogliatoi possono essere luoghi difficili per un ragazzino che sta scoprendo, per esempio, il proprio orientamento sessuale…
«Purtroppo non abbiamo avuto ancora la forza, in termini di volontari e militanti, di lavorare come vorrei su questo fronte, individuato anche a livello nazionale da Arcigay come uno dei filoni da seguire con più attenzione, ma certo vorremmo farlo. Solo che, sa, Arcigay esiste solo grazie al lavoro di volontari, non c’è nessuno che ci lavori a tempo pieno».

Ma avete mai ricevuto richieste da associazioni sportive del territorio?
«No, non siamo mai stati contattati da nessuno».

E dalle istituzioni locali avete l’appoggio che vorreste?
«La premessa necessaria è che viviamo in un terrritoro felice. Come consigliere nazionale Arcigay so di luoghi dove è tutto molto difficile. Detto questo, vorrei che la politica locale facesse un passo in più, facesse proprie queste lotte in maniera più incisiva. Da cittadino, li sento vicini, ma come attivista vorrei vedere un po’ più di coraggio, non so se questo manchi perché non se ne sente la necessità o perché sposare le nostre battaglie non è facile e non paga in termini di popolarità».

E però va anche detto che, dopo la conquista delle Unioni civili, il tema sembra essere stato un po’ accantonato in generale. Mentre resta in cima all’agenda della controparte, di chi difende la famiglia tradizionale e porta avanti idee opposte alle vostre.
«È vero, ci siamo rilassati, dopo quella conquista, che pure era monca, ci siamo un po’ seduti, anche a livello nazionale. E abbiamo lasciato spazio agli altri, che hanno sfruttato questa nostra debolezza innescando dinamiche anche molto pericolose, in particolare attraverso un certo uso dei social che per noi sono da un lato un modo di mettersi in contatto e di uscire dall’isolamento, ma dall’altro un luogo in cui riceviamo le peggiori accuse e offese».

Quindi come potrebbero le istituzioni locali fare quel passo in più che chiede? Qualche idea?
«Penso al prossimo 17 maggio, la giornata internazionale per le vittime di omofobia, quando vorrei organizzare qualcosa di importante per la città, Voglio tornare a bussare alle porte delle scuole e lì sì, mi aspetto una grande partecipazione».

Lei diceva prima che la legge sulle Unioni civili è nata monca, in particolare per quanto riguarda il tema delle adozioni, giusto?
«Esatto, ci si è accontentati di quella perché era pur sempre meglio di niente, ma è stata addirittura tolta la possibilità per il coniuge di adottare il figlio del compagno. Ma questo non significa che ce la dobbiamo tenere così per sempre».

Lei e suo marito vorreste dei figli?
«Sì, ci piacerebbe molto, ma è difficilissimo. Ci piacerebbe poterne adottare uno, ma serve un’adozione internazionale che è una pratica difficile, lunga e costosa anche per le coppie eterosessuali, figuriamo per noi».

E la gestazione per altri, è un’ipotesi percorribile?
«È un tema su cui davvero non voglio e non so esprimermi. Mi limito a dire che mi sembra assurdo complicare così la possibilità di adottare un bambino. A volte, anche tra gli etero, credo che venga scelta la gestazione per altri perché è paradossalmente una strada più facilmente percorribile dell’adozione».

Le coppie gay possono però essere affidatarie…
«Sì, mio marito e io lo siamo, abbiamo fatto tutto il percorso previsto ma ancora non abbiamo avuto nessun minore affidato, ma ci sentiamo pronti».