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«Non c’è un’emergenza femminicidi, il dramma vero è la violenza domestica»

La criminologa e scrittrice Cristina Brondoni con l’ultimo romanzo prova a portare il tema anche fuori dai convegni: «Le vittime spesso si sentono colpevoli perché rispondono al canone che impone di essere madri e mogli». Il 25 novembre alle 18 la presentazione del libro al Caffè Letterario

Cristina Brondoni, criminologa, giornalista e scrittrice, si occupa di violenza domestica, omicidi e femminicidi da diverse angolazioni e utilizzando strumenti e linguaggi diversi. Venerdì 25 novembre alle 18 sarà al Caffé Letterario di via Diaz a Ravenna per presentare il suo terzo romanzo, appena uscito in libreria con l’editore ravennate Clown Bianco, dal titolo L’inferno degli eletti, il terzo che vede Enea Cristofori protagonista e che si concentra proprio e in particolare sul tema della violenza tra le mura di casa. La sua è dunque una voce tanto autorevole in materia di violenza sulle donne, quanto fuori dal coro.

Lei sostiene che non c’è un’emergenza femminicidi, c’è dunque una percezione sbagliata da parte di tante persone? Per lungo tempo abbiamo sentito dire che a fronte di un calo degli omicidi, il dato dei femminicidi restava stabile.
«I numeri sono molto chiari, gli omicidi in Italia nei primi nove mesi del 2022 sono stati 221, di questi 82 hanno come vittime delle donne, delle quali 42 sono state uccise dall’ex o dal partner. Un numero in calo del 9 percento rispetto allo stesso periodo del 2021. Non voglio minimizzare, naturalmente, parliamo di 42 donne che non dovevano morire, ovviamente, ma non sono numeri che giustifichino l’emergenza. Cosa dire altrimenti dei cinquemila suicidi l’anno in prevalenza tra giovani uomini? O degli ottomila morti per incidente domestico? La nostra percezione è influenzata dal fatto che ne sentiamo parlare così tanto, mentre il dramma vero è piuttosto la violenza domestica».

Un tema che è al centro del suo ultimo romanzo, un thriller in cui ci troviamo a vivere tra le pareti della casa in cui una donna subisce violenza. Perché ha scelto questo linguaggio? C’era anche l’intento di diffondere una maggiore consapevolezza su questo tema?
«Sì, è così, è vero. Ho cercato di utilizzare il romanzo per riuscire ad andare oltre alle platee dei convegni o delle manifestazioni che in genere coinvolgono persone già consapevoli, impegnate in una battaglia, ma che rischiano di non sfiorare nemmeno chi invece è direttamente coinvolto. Questo accade perché le vittime tante volte non si rendono nemmeno conto di esserlo, si sentono in qualche modo colpevoli, si sentono in dovere di rispondere a canoni imposti dall’educazione ricevuta che vuole le donne innanzitutto madri e mogli. Troppe donne subiscono violenze psicologiche senza reagire perché sono state cresciute da padri-padroni che le hanno abituate al silenzio e, una volta adulte, tendono a riprodurre lo stesso modello famigliare, a trovare uomini che le trattano allo stesso modo».

Ma su questo non si sono fatti progressi, penso per esempio alle politiche attive per portare le donne al potere…
«Direi invece l’opposto. Si era fatto qualche progresso, ma ora stiamo involvendo. Basta guardare le pubblicità delle auto: per le donne quelle piccole che frenano e si parcheggiano da sole, per gli uomini quelle grandi e aggressive. O a Masterchef: i giudici sono tutti uomini, mentre le pubblicità per la spesa quotidiana del cibo sono rivolte alle donne. E gli esempi possono essere tantissimi. In politica poi l’affermarsi di personaggi come Pillon è il segno di come stiamo facendo passi indietro e non in avanti: questa gente vuole le donne in casa, a crescere figli. Ma in generale, il fatto che al G20 l’unica premier fosse Giorgia Meloni mi pare significativo che il problema è diffuso non solo in Italia».

Ecco, la prima premier donna è un segnale positivo anche se promuove politiche per la famiglia di stampo, diciamo, tradizionale?
«A me che un politico sia uomo o donna di per sé non interessa, voto per le proposte e per le idee, se sono necessarie quote rosa, significa che la società non pensa in modo equo. Se fosse equa, non servirebbero quota rosa. Ma direi che anche nel caso di Meloni un segnale di arretramento c’è stato, perché io ricordo bene come per anni non ci sia stato nessun problema a definire Nilde Iotti “la presidente della Camera”. Questa richiesta dell’articolo maschile è un gioco che consiste nel farci arrovellare su questioni di lana caprina invece di andare al sodo e cioè a ciò che davvero impedisce a tante donne di far carriera, che è proprio il ruolo sociale in cui vengono educate. Lo stesso ruolo sociale che rende così diffuso un altro dramma poco riconosciuto, quello della violenza economica».

Sta dicendo quindi che il basso tasso di occupazione femminile è dovuto più a un fattore sociale che economico?
«Torniamo sempre all’idea per cui la la donna deve essere prevalentemente madre e magari si convince lei per prima che non lavorare ed essere mantenuta dal marito sia un privilegio, una dimostrazione d’amore da parte del compagno, mentre è un fattore di dipendenza che non a caso ricorre spesso nei casi di violenza domestica».

È così anche per uno dei suoi personaggi, che per lungo tempo non capisce di essere vittima del marito. Ma in generale, la sua galleria di personaggi femminili vede caratteri molto sfaccettati e uno sguardo critico verso i comportamenti di alcune donne, penso per esempio all’ex del protagonista che non si rassegna alla fine della relazione…
«Anche lei è vittima dell’idea per cui una donna non può stare da sola, deve avere un compagno e possibilmente dei figli. Tutte abbiamo un’amica così, se ci pensiamo bene. In generale, scrivo romanzi anche perché mi ero stufata delle donne nei libri perfette che fanno e sanno fare tutto. Sono stata criticata per tante scelte che ho fatto nei miei romanzi. Ma il mondo è più complesso di come a volte vogliamo vederlo e il mostro da combattere è più vicino di quanto pensiamo».