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La teoria Red Ronnie

Un approccio costituzionalista anni Quaranta per cercare di spiegare la difficoltà di comprendere la geografia stradale ravennate

Tra le cose che preferisco di Ravenna c’è la capacità della sua geografia stradale di sfuggire alla mia capacità di memorizzare la geografia stradale. Faccio un esempio per cercare di spiegarmi. Mettiamo che io voglia andare al PalaCosta a vedermi una partita della Teodora, o quel che è: esco di casa e mi trovo sempre a pensare a che strada devo fare. So perfettamente dov’è il PalaCosta, so perfettamente dove conviene parcheggiare, so anche – a grandi linee – il tempo che ci vuole ad arrivarci da casa mia, a seconda di quale giorno della settimana e a che ora. La domanda è: che strada devo prendere? Uscito dal quartierino in cui vivo devo andare a destra o a sinistra? Una volta superato il cavalcavia mi conviene andare verso viale Europa o buttarmi in via Rubicone? La cosa in fondo non avrebbe niente di male, in sé: succede in tutte le grandi città, o almeno credo che succeda in tutte le grandi città. La questione è che, in linea d’aria, tra casa mia e il PalaCosta ci sono circa due chilometri, e il mio cervello rifiuta categoricamente di dover affrontare dubbi logistici in merito a qualcosa che dista meno di due chilometri. Così semplicemente a volte prendo l’auto e inizio a guidare per strade che sono semplicemente abituato a percorrere in attesa che la mia mente si attivi e inizi a decodificare segnali esterni che le permettano di capire che, ok, sei sulla strada giusta e tra poco sarai arrivato a destinazione.

Nei primi anni della mia residenza a Ravenna era una cosa che un pochino, ammetto, mi infastidiva. Ai tempi ero fomentato da questioni di campanile, dovute alle origini cesenati e alla ferrea convinzione che nessun essere umano che possedeva un’automobile con scritto “RA” sulla targa, anche in piccolo, fosse in possesso dei rudimenti culturali che servono a guidarla. E posso io stesso testimoniare di aver visto succedere cose che voi umani, sulle strade della mia città di origine, e poi aver letto “RA” sulla targa posteriore del mezzo. Naturalmente il sentimento era assolutamente reciproco. Nel preparare l’articolo parlavo con Luca Manservisi, che da ravennate Doc mi parlava della ferrea convinzione dei ravennati che i forlivesi siano totalmente incapaci a guidare. Ci sono diverse ragioni per cui gli abitanti di una città sono convinti che gli abitanti delle città vicine siano incapaci a guidare, a partire dall’odio istintivo tra campanili che ha fatto la fortuna dei guerrafondai ai tempi in cui Dante non era ancora diventato un ravennate ad honorem, per arrivare a ragioni di puro buon senso. Nei primi anni delle mie frequentazioni ravennati studiavo diritto costituzionale e ho imparato cosa intendevano i giuristi per costituzione materiale: un insieme di regole non scritte che si sviluppa accanto all’insieme di regole scritte, e che è fondamentale per farle funzionare. Quindi, ad esempio, si possono prendere tutti i manuali di guida di questo pianeta e imparare alla perfezione quali comportamenti tenere e quale velocità e quali corsie occupare nell’affrontare una rotonda, ma nessuno di quei manuali contiene le informazioni che ti servono davvero per sopravvivere sulla rotonda sull’imbocco di Viale Randi alle sette e tre quarti di un mattino feriale.

Nelle altre città è diverso. Come ti insegnano in seconda elementare, quasi tutti i capoluoghi di provincia emiliano-romagnoli si sviluppano storicamente su una direttrice lineare che li collega uno all’altro, la via Emilia, un’invenzione talmente geniale che nel progettare i duemila anni di sviluppo successivo del territorio gli esseri umani non hanno trovato niente di meglio che costruire altre due strade che ne mimassero il corso (l’A14 Adriatica e il tratto ferroviario Bologna-Rimini). E quindi pensiamo alla geografia delle nostre città come a una lista di tacche su un righello che teniamo continuamente infilato nei pantaloni (e infatti a Rimini, in cui la via Emilia finisce poco dopo l’ingresso nella città, facciamo una gran fatica a muoverci). Il popolo ravennate, glorioso come nessun altro nei paraggi della sua storia, ha dovuto pensarsi in maniera alternativa, e guardando alla sua storia classica ha deciso d’esser dantesca e quindi fatta a gironi, e oggi credo sia l’unica città italiana sotto i 200mila abitanti che pensa a se stessa come il centro di un imponente Grande Raccordo Anulare (Classicana/SS16/Romea eccetera), con un sistema complesso di rotonde e diramazioni che nei primi anni ’90 tutti prendevamo per il culo, e poi abbiamo capito (ma non l’ammetteremo) che fosse semplicemente vent’anni avanti sul resto della geografia stradale romagnola, e/o che in mancanza di colli a strapiombo sia diventato l’unico modo di difendere la città dai nemici che vengono da fuori. E così mi piace immaginare che se Dante fosse vivo oggi avrebbe pensato ad un reboot del suo Inferno in cui Red Ronnie è condannato per l’eternità a girare con la sua station wagon intorno alla Romea Dir. urlando improperi in diretta Instagram contro il sindaco Matteucci.

Io di mio sono qui da dieci anni e ho fatto qualche progresso: ho comprato la mia prima automobile targata RA e sulla rotonda di Viale Randi mi suonano ormai molto raramente. Mi tengo l’appartenenza cesenate solo nel ricordo lontano della persona che ero, e nella mia totale incapacità di imparare a livello istintivo quale strada prendere per andare al PalaCosta. Mi affido alla tradizione e punto su via Rubicone, dal nome del fiume che tutti quelli nati a Calisese pensano essere quello che passa vicino alla chiesa di Calisese (i savignanesi non sono d’accordo, ma per capire che di loro non bisogna fidarsi basta vedere come guidano).

* Cesenate trapiantato a Ravenna, Francesco Farabegoli scrive o ha scritto su riviste culturali come Vice, Rumore, Esquire, Prismo, Il tascabile, Not