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    Categoria: cronaca

Fallimento Gapar: 5 arresti, sottratti 4 milioni. Anche vacanze a spese dell’azienda

Nel 2015 il crac con un buco da 18 milioni e 44 licenziamenti. Ora un noto commercialista e un imprenditore ravennati con e altri tre modenesi chiamati a rispondere di bancarotta fraudolenta e autoriciclaggio. Secondo l’indagine della guardia di finanza impostarono volutamente una strategia predatoria per sfilare beni e risorse dall’azienda di distribuzione alimentare nel loro esclusivo interesse

L’azienda era già a un passo dal crac che sarebbe arrivato di lì a poco e loro, titolari di quote o amministratori, scaricavano sulle casse societarie un conto da 60mila euro per le vacanze a Cuba. È solo uno degli episodi ricostruiti dalla guardia di finanza di Ravenna nella corposa inchiesta sul fallimento della Gapar, storica società ravennate operante nella grande distribuzione di prodotti alimentari e da panificazione, saltata per aria a luglio 2015 lasciando 44 lavoratori disoccupati e un buco da 18 milioni di euro (445 i creditori iscritti allo stato passivo). Bancarotta fraudolenta e autoriciclaggio, con l’aggravante della transnazionalità, sono i reati contestati a vario titolo a dieci persone, cinque delle quali sono state arrestate stamani, 27 giugno, eseguendo un’ordinanza di custodia cautelare (tre in carcere e due ai domiciliari): David Mazzocchi, Matteo Stermieri, Michele De Gasperis, Bentivoglio Massaro, Mario Avolio. I primi tre sarebbero da considerare esponenti di un unico gruppo modenese guidato da Mazzocchi che un anno prima del fallimento prese il controllo della Gapar in accordo con gli altri due ravennati (Massaro in un ruolo apicale), per avviare un’operazione di sistematica spoliazione da cui solo i cinque avrebbero ottenuto vantaggi. Il colonnello Andrea Fiducia, comandante provinciale delle Fiamme Gialle, parla di «vera e propria strategia predatoria». L’indagine (pm Alessandro Mancini e Lucrezia Ciriello) attribuisce agli indagati la responsabilità per la sottrazione di beni e fondi per un valore di almeno 4 milioni di euro.

Da sinistra: Lucrezia Ciriello (sostituto procuratore), Alessandro Mancini (procuratore capo), colonnello Andrea Fiducia (comandante provinciale guardia di finanza), colonnello Pasquale Arena (comandante nucleo polizia economico-finanziaria)

Gapar nacque come cooperativa nel 1961, trent’anni più tardi diventò Srl e nel 2006 si trasformò in Spa. Negli anni di massimo splendore toccò fatturati da 50-60 milioni di euro con oltre settanta occupati e tre sedi operative (Ravenna, Pesaro e Venezia). Secondo la procura a giugno del 2014, quando lo stato di salute della società era già critico, si innesta il meccanismo oggi sotto indagine. I modenesi subentrarono nella titolarità dell’azienda, senza pagamento di un reale corrispettivo, e una volta sedutisi nella stanza dei bottoni cominciarono le operazioni sospette contraddistinte da un tratto comune: ognuna rendeva le casse della Gapar più povere. Lo scopo sarebbe stato quello di rendere la società una scatola vuota piena di debiti di cui nessuno avrebbe risposto.

L’elenco delle operazioni, abilmente disegnate, è variegato. Il colonnello Pasquale Arena, comandante del nucleo di polizia economico-finanziaria, ne ricostruisce alcune. Ci sono i bonifici fuoriusciti dai conti aziendali per il pagamento di operazioni commerciali inesistenti con società riferibili agli arrestati con sede a Cuba, in Messico, in Gran Bretagna e in Romania, autoriciclando i proventi della bancarotta fraudolenta. Ci sono i pagamenti a familiari e prestanome. C’è la cessione del parco auto fatto di sette mezzi del valore di 180mila euro (Porsche e Mercedes) a una società riconducibile agli arrestati e poi rivenduto mentre Gapar pagava fatture per noleggio di veicoli. C’è il massiccio acquisto di prodotti dai fornitori, quando la società era già pesantemente indebitata, e la rivendita dell’intero magazzino a metà del suo valore a un’altra società costituita allo scopo dall’imprenditore modenese che a sua volta ha rivenduto tutto a valori raddoppiati e poi cessato l’attività. C’è infine l’operazione per mettere le mani sul patrimonio immobiliare. Undici immobili e tre terreni detenuti da una società controllata dalla Gapar. Secondo gli investigatori, Massaro avrebbe distratto 900mila euro dalla Gapar utilizzati per aumentare le sue quote nella società immobiliare diventandone socio di maggioranza a costo zero per lui. Il gip ha accolto la richiesta della procura di sequestro delle sue quote per un controvalore di circa 1,3 milioni di euro.

A dare avvio all’indagine è stato un esposto presentato da alcuni soci di minoranza che si erano accorti delle manovre anomale. «È un segnale che gli imprenditori sani esistono», commenta il colonnello Fiducia. Che, in sintonia con il sostituto procuratore Ciriello, coglie spunto dal caso specifico per sottolineare la pericolosità del reato di bancarotta fraudolenta: «Si alterano le regole del mercato, si creano danni più grandi di quelli che si possano immaginare. Ci sono famiglie che restano senza lavoro e ci sono aziende costrette a chiudere perché creditrici di una società che non pagherà i suoi debiti. E poi è un reato che danneggia tutta la collettività perché anche l’Erario è tra i creditori». Anche il procuratore capo Mancini esprime tutta la sua determinazione nel contrastare i reati economici: «Lo consideriamo il core business del nostro ufficio perché parliamo di condotte che impoveriscono la nostra economia. È materia di indagine molto delicata e specifica, per questo ci sono magistrati dedicati. Quindi chi è sul punto di commettere questi reati è meglio che si astenga…».

Confcommercio ringrazia la procura e la Finanza per aver fatto piena luce su un’amara vicenda: «Vogliamo sottolineare la nostra piena soddisfazione per la conclusione dell’operazione proprio perché le radici della Gapar vanno rintracciate nel fertile terreno della panificazione ravennate degli anni 70, aderente storicamente a Confcommercio».