“A piena voce“ (4) da Milano
Il Castello Sforzesco è un crocevia di Milano, uno dei rari luoghi vissuti allo stesso modo da turisti e autoctoni. Visi pallidi di inglesi e francesi, attirati come mosche dalla Pietà Rondanini di Michelangelo, si alternano a famiglie milanesi in migrazione verso il refrigerio del Parco Sempione. Ragazzi e ragazze in tenuta sportiva che si allenano lungo i fossati del Castello, incuranti dell’afa e ambulanti di rose che si fermano incuriositi ad osservare la fiumana degli Eretici, pronta ad iniziare lo spettacolo.
Tutto comincia come deve cominciare uno spettacolo su Majakovskij: con un calcio in culo. Simbolico, è ovvio. Si tratta di una ginocchiata affettuosa che si scambiano i non-scuolini riuniti in cerchio. Il gesto passa tra loro ordinatamente, come attraverso una ola. É il rito d’apertura, aristofanesco, a cui tutti devono sottostare; regista compreso, che si raccomanda con il ragazzo alle sue spalle, «non troppo forte, per favore».
Dopo le presentazioni e lo sfogo della tensione iniziale, Martinelli comincia a far recitare ai ragazzi le poesie di Majakovskij. I bastioni del Castello come quinta, il rosso bramantesco che tremola per il caldo; in fondo, al centro delle mura, sta appesa, minuscola, un’icona del poeta rivoluzionario – si devono strizzare gli occhi per vederla. È l’unica scenografia di questa “creazione a cielo aperto”, ed è subito chiaro perché non serve nient’altro: il vero centro scenografico di Eresia della felicità sono i ragazzi, i loro movimenti, la gestualità che si moltiplica per quante braccia e gambe si muovono all’unisono; il ritmo cromatico formidabile che si ripete come la pelle di un serpente, giallo-nero-giallo-nero, a seconda delle diverse figure che Martinelli cerca di fare assumere ai “tanti” in movimento, in fondo al fossato.
Anche i più piccoli (come ad esempio Riccardo, 7 anni, da San Felice sul Panaro), quando ugolano i versi d’amore del poeta, che scrive alla madre per comunicarle la notizia che «vostro figlio è magnificamente ammalato | ha un incendio nel cuore», risultano convincenti fino a commuovere; forse perché è la loro incoscienza, la loro condizione di purezza, a far suonare più alti i versi, restituirgli una scheggia della sensibilità del loro creatore.
Lo spettacolo si chiude sulla note di una Internazionale rivisitata dalle Officine Schwarz. I non-scuolini davanti al pubblico, immobili; poi Martinelli si lascia andare, e li sprona più volte ad accarezzare “i testimoni” di questa creazione, perché «su un cuore in fiamme ci si arrampica con le carezze». Esterrefatto, il pubblico si lascia coccolare dalle mani dei ragazzi. Sobbalzo quando sento Dieumb, una bambina di colore, carezzarmi le orecchie alle spalle. Mormoro un “grazie”, e mi viene da ridere.
E infine, a spettacolo terminato, esplode il delirio. I ragazzi si rincorrono adrenalinici, si fanno i gavettoni, si rotolano per terra. Improbabile e dannoso cercare di contenerli. Una ignara coppia di spettatori milanesi viene intercettata dal getto di una bottiglia d’acqua. Il ragazzino colpevole li guarda smarrito, aspettandosi il peggio; ma si vede offrire un pacchetto di caramelle appena comprato, ringraziamento per lo spettacolo e, credo, per la rinfrescata.