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    Categoria: cultura

Omaggio a Puccini con la Bohéme rivisitata anche in forma di musical

Per la Trilogia d’Autunno debutto all’Alighieri il 9 dicembre, repliche dei due allestimenti fino al 15. Cast di giovani cantanti e musicisti

Un omaggio a Giacomo Puccini, e in particolare alla sua opera più nota e popolare, la Bohéme, caratterizza la trilogia d’autunno che chiude l’edizione 2015 del Ravenna Festival e apre la stagione d’opera e danza del teatro Alighieri. Ce ne parla Angelo Nicastro, direttore artistico sia del festival che della rassegna operistica ravennate.
La Bohéme andrà in scena in due diverse versioni, una “originale” con la regia di Cristina Mazzavillani Muti, l’altra, intitolata Mimì è una civetta rivisitata in forma di musical con la regia di Greg Ganakas (dal 9 al 15 dicembre al teatro Alighieri di Ravenna), mentre alcune delle più celebri arie pucciniane saranno proposte in un recital con il Maestro Muti – per l’occasione al pianoforte – e con i cantanti Anna Netrebko e Yusif Eyvazov (l’11 dicembre al PalaCredito di Romagna a Forlì).

La programmazione della trilogia, negli ultimi anni, si è concentrata su diversi titoli di Giuseppe Verdi, in occasione del centenario, da dove nasce quest’anno la scelta di Puccini?
«Sulle trilogie autunnali del festival devo fare una premessa: le due dedicate in passato a Verdi, suddivise fra le opere popolari e le opere shakespeariane, sono state un’esperienza importante sia sul piano produttivo che culturale, che hanno consentito al pubblico di confrontarsi, in un arco temporale ristretto a pochi giorni, con ben tre titoli diversi dedicati in modo organico e tematico allo stesso autore. Questo è stato possibile grazie ad una predisposizione agile e funzionale degli allestimenti, anche rispetto alla limitata struttura scenica del teatro Alighieri. L’ideazione innovativa delle messe in scena sta proprio alla base della filosofia di questi progetti del Festival: in primo luogo con l’utilizzo delle nuove tecnologie, sperimentato da Cristina Muti, che se da un parte “svecchiano“ le tradizionali convenzioni scenografiche, dall’altra semplificano i meccanismi dell’allestimento, anche sul piano dei costi. Inoltre, la modalità che ispira queste produzioni è quella del laboratorio, anche nel coinvolgimento di giovani artisti, un po’ a tutti i livelli del cast e in particolare dei cantanti, meglio sintonizzati sui ritmi e l’estetica di queste nuove forme di produzione teatrale».

Per cui anche l’opera di Puccini, sarà messa in scena con queste prerogative…
«Certo, e la scelta di quest’anno nasce proprio dalla nostra convinzione che Puccini sia un musicista da rivalutare come colui al quale gran parte della musica del Novecento è fortemente debitrice, in particolare le nuove forme di teatro musicale. Perché Puccini ha avuto la capacità di assorbire i fermenti e le varie tendenze delle scuole musicali europee della sua epoca e di assimilarle in un linguaggio che è forse stato troppo sbrigativamente liquidato come facile, superficiale. Ma proprio la critica più accesa che gli era stata rivolta dai suoi contemporanei, cioè di non essere un innovatore, un compositore originale, con una sua personalità artistica, è stata smentita dallo sviluppo di tanta cultura musicale del ‘900. Con buona pace dei suoi detrattori».

D’altra parte Puccini e le sue opere hanno avuto una notevole fortuna, per l’ampio e assiduo gradimento del pubblico…
«Infatti, questa sua capacità di arrivare agli spettatori con un linguaggio immediato e d’effetto, direi efficace, che riesce a suscitare emozioni, ha generato titoli che sono diventati popolarissimi, dei cult veri e propri, come per l’appunto, la Bohéme. Si tratta di una poetica molto presente nel teatro musicale moderno e soprattutto in quello americano, quindi nel musical. Un genere che indubbiamente ha attinto dalle sue sonorità, dalla sua capacità di fondere linguaggi, di dare comunque una lettura unificata di stili diversi che risuonavano in Europa a suo tempo e di offrire così un contributo di grande modernità. Pensiamo solo alla Bohéme che ha ispirato diversi musical di cui uno, recentemente, è diventato anche un film da Oscar, molto amato, come Moulin Rouge. Inoltre, risonanza internazionale e ancora rivisitazioni in chiave di musical valgono anche per la Madama Butterfly… Per non parlare della mitografia del bohémien, dell’artista idealista anticonformista, genio e sregolatezza, che è giunta fino a noi amplificata proprio dall’opera pucciniana. Il progetto di questa trilogia è un ritorno a Puccini, per riscoprirlo in questa chiave di musicista moderno, pienamente del Novecento».

E con questa chiave mettete in scena di fatto un’unica opera, la Bohéme
«Si tratta di un’opera emblematica, la più amata dal pubblico che, d’altra parte, oggi è ancora la più rappresentata al mondo. Il nostro progetto è di affiancare a una produzione, per così dire, dell’originale – pur con una regia innovativa di Cristina Muti e un cast di artisti di nuova generazione, molto duttili e preparati – una seconda produzione incentrata sulla rilettura dell’opera dal punto di vista musicale che rendesse più evidente questo debito della modernità nei confronti di Puccini. Così abbiamo pensato di “metterlo alla prova”, nel senso di sperimentare se la struttura dell’opera poteva reggere una rivisitazione basata sugli strumenti della musica rock e pop, con uno spettacolo dal titolo Mimì è una civetta. La parte musicale è affidata, infatti, a nove musicisti, una vera e propria band elettrificata: batteria, basso, chitarra, tastiere e archi, arricchita dalla presenza di solisti d’eccezione come Simone Zanchini alla fisarmonica e Fabrizio Bosso alla tromba. L’adattamento della partitura è stata realizzata da un giovane di formazione classica, Alessandro Cosentino che ha riscritto le arie più famose della Bohéme con questa strumentazione ma rispettando le tessiture musicali originali senza modificare la tonalità».

E per quanto riguarda le parti cantate?
«Le arie più celebri saranno cantate da voci non impostate per il melodramma, ma dotate della potenza, timbro ed estensione vocale necessarie per cantare in questa tessitura operistica. Voci importanti ma non liriche, però più vicine al gusto e alla sensibilità attuale. Mentre le parti della narrazione non saranno cantate ma recitate. Insomma siamo nello stile del musical, con cantanti che sono anche attori. I protagonisti sono già stati selezionati ed è interessante evidenziare come questi giovani che non vengono dal mondo dell’opera lirica siano molto eclettici nel muoversi sulla scena: oltreché cantare sanno recitare e ballare, per l’appunto come nell’esperienza creativa dell’artista del musical».

E come sarà la messa in scena date tali varianti dall’impostazione originale?
«La storia è la stessa ma anche la regia, firmata da Greg Ganakas, naturalmente sarà rivisitata. Innanzitutto la band sarà parte integrante della scena, presente sul palcoscenico e non in buca come nel caso dell’orchestra tradizionale, quindi i musicisti saranno anche loro attori dell’opera. Peraltro questa messa in scena si tratta di un work in progress e non mancheranno le sorprese».

Gli allestimenti firmati da Cristina Muti per il Festival hanno sempre proposto nuove prospettive scenografiche, fondate su immagini virtuali. Sarà così anche per le due Bohéme?
«Sicuramente le strutture scenografiche sono limitate, il “costruito” è sempre di meno e si basa su moduli molto funzionali e flessibili che possono essere dislocati velocemente e danno la possibilità di costruire un’ambientazione differente. È un’impianto alla “lego” che può essere scomposto e ricomposto diversamente, incorniciato, arricchito e animato da proiezioni visionarie. Il vantaggio è un cambio di scena in tempi brevissimi rispetto alle tecniche tradizionali, che consente uno svolgimento dello spettacolo più fluido, con minime soluzioni di continuità».

Questa trilogia pucciniana si chiude infine con un appuntamento dalla forma essenziale: un pianoforte e due voci liriche…
«La forma è quella del Gala ma in realtà è un unicum che rende omaggio a Puccini in tutte le sue sfaccettature d’autore, e che completa il progetto tutto incentrato sulla rivisitazione della Bohéme. Un’occasione straordinaria, non solo per la presenza di Riccardo Muti ma perché il Maestro offrirà una delle sue rare esibizioni al piano, affiancato da due eccellenti cantanti. Peraltro si rievoca un altrettanto raro e memorabile recital accaduto 20 anni fa, protagonista sempre Muti, assieme a Luciano Pavarotti, che a Forlì tenne un concerto di beneficienza in ausilio alla comunità di Sadurano, per il recupero di tossicodipendenti, di don Dario Ciani, scomparso proprio quest’anno. Si tratta quindi di un ritorno di Riccardo Muti a Forlì dedicato alla memoria di Don Dario, e per un rinnovato sostegno alla sua comunità».

Ma dal Maestro Muti ci dobbiamo aspettare anche qualche racconto o commento su Puccini e le sue opere?
«Questo è affidato all’imprevedibilità del Maestro che però, ultimamente, sempre di più si esprime in un rapporto diretto con il pubblico… Non c’è nulla di preordinato in questo senso ma immagino che in un momento per lui cosi denso di ricordi e di emozioni non mancherà di dire qualcosa, magari anche nel merito della pagine musicali fra le più belle del repertorio lirico di Puccini che ha scelto e che eseguirà in concerto».