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    Categoria: cultura

Il western shakespeariano di Tarantino, capolavoro imperdibile

La recensione del direttore del Nightmare Fest

Pubblichiamo anche sul nostro sito la recensione in anteprima del nuovo film di Tarantino a firma del direttore artistico del Ravenna Nightmare Film Fest, Albert Bucci, che trovate anche sul nostro mensile cartaceo culturale R&D Cult. Ravennate di 48 anni, Bucci (il cui vero nome è Alberto ma è meglio noto come Albert) è stato docente di Sceneggiatura e Tecniche della Narrazione alla Iulm di Milano e produttore esecutivo di spot pubblicitari televisivi.

4 febbraio 2016: esce in Italia The Hateful Eight, l’ottavo e nuovo film di Quentin Tarantino. E vi dirò subito che, come ogni film di Tarantino, anche questo è un capolavoro imperdibile, un western che segnerà la storia del Cinema.

Un po’ di trama, solo l’essenziale, per non svelare nulla della suspence narrativa: Un rigido inverno del Wyoming pochissimi anni dopo la fine della guerra civile negli Stati Uniti, con le sue ferite e lacerazioni ancora aperte e sanguinanti. A bordo di una diligenza, il cacciatore di taglie John Ruth, detto anche Il Boia (Kurt Russell), sta scortando la sua prigioniera Daisy Domergue (Jennifer Jason Leigh) nella città di Red Rock, dove sarà impiccata. Lungo la strada si scatena una feroce tormenta di neve e a loro si uniscono un altro cacciatore di taglie, l’afro-americano Marquis Warren (Samuel L. Jackson), che aveva combattuto senza scrupoli con le truppe del Nord contro gli schiavisti, e Chris Mannix (Walton Goggins), il futuro sceriffo di Red Rock, che a sua volta aveva combattuto la guerra, ma dalla parte del Sud. La tempesta costringe i quattro a fermarsi in un rifugio-emporio dove ad accoglierli, anziché la proprietaria e loro vecchia amica Minnie, trovano l’aiutante di Minnie e altri tre clienti: un vecchio generale sudista e razzista (Bruce Dern); un silenzioso bovaro (Michael Madsen); e il loquacissimo nuovo boia di Red Rock (Tim Roth). La tempesta bloccherà per qualche giorno le otto persone nel rifugio…

La colonna sonora originale, già lo saprete, è di Ennio Morricone; e la voce narrante fuori campo che commenta la storia, nella versione originale, è quella di Quentin Tarantino.

The Hateful Eight non è semplicemente un western, come dice lo stesso Quentin Tarantino: «Certo: ci sono una diligenza, un saloon da tipico film western con sparatorie, duelli, brutti ceffi molto inaffidabili e sfide all’ultima pallottola. E c’è anche una donna che prepara un caffè».
Non può essere un semplice western perché Tarantino non si è mai limitato a scegliere un genere narrativo, ma lo ha sempre rielaborato secondo stilemi che oscillano tra la classicità della tragedia greca (Le iene) e la narrativa post-moderna più sperimentale alla Elmore Leonard (Pulp Fiction).
Quest’ultimo The Hateful Eight, già nella struttura narrativa, si rifà alla classicità. Diviso in sei capitoli con un “intermezzo”; rispettoso dell’unità di spazio e di tempo (i personaggi si muovono in una stanza chiusa e isolata dalla tormenta); girato nel formato 70mm dei grandi classici del cinema: The Hateful Eight è un’opera contemporanea profondamente ispirata dalla Storia del Cinema, come tutta la filmografia di Tarantino. Un western che di primo acchito sembra rispettoso delle sue origini e a esse vuole ispirarsi (una struttura più vicina a Un dollaro d’onore di Howard Hawks e a Mezzogiorno di fuoco di Fred Zinnemann, che all’amatissimo Sergio Leone), ma che evolve subito in un geniale e imprevedibile mix tra l’enigma della camera chiusa e conseguente meccanismo a eliminazione dei Dieci piccoli indiani di Agatha Christie, la claustrofobia filosofica di A porte chiuse di Jean Paul Sartre e, per ammissione diretta di Tarantino, il suo primo film Le iene e soprattutto La cosa di John Carpenter. Non a caso la colonna sonora di Morricone comprende anche alcune composizioni create nel 1982 per La cosa ma che poi non sono confluite nella versione definitiva, un po’ per mancanza di tempo (Morricone ha avuto solo un mese per consegnare la musica) e un po’ perchè, come dice lo stesso Morricone: «Non mi piace ripetermi. Se Quentin avesse voluto qualcosa di simile a Sergio Leone, gli avrei detto di no, perché saremmo stati entrambi criticati per aver riproposto ciò che è passato».

Quanto alla violenza, da sempre elemento essenziale del cinema di Tarantino, il primo riferimento sono i western di Sam Peckinpah come Il mucchio selvaggio, ma dietro i quali emerge qualcosa di più arcaico e ancestrale: la violenza assoluta e primordiale del teatro elisabettiano, da Christopher Marlowe al magnifico Shakespeare, così visibili nella teatralità di un film chiuso in una stanza-teatro e nella cura pittorica e manierista di ogni inquadratura, così espliciti nei lunghi dialoghi esistenziali in cui gli odiosi otto personaggi conversano sul senso della vita e della giustizia, del fato e del destino, prima di precipitare come animali nella spirale di una violenza necessaria e ineluttabile, come nelle più alte tragedie di Shakespeare.

E dunque The Hateful Eight è molto più di una storia di cow-boys: è un dolente e cinico western nichilista dentro il quale ritrovare tutte le magnifiche ossessioni di Tarantino per la Storia, il Cinema, il Teatro e la Letteratura.

In due cinema italiani, il film uscirà anche in versione 70mm, più lunga di 15 minuti e più spettacolare delle copie digitali normali. Uno dei due cinema è il Lumière di Bologna, dove andrò sicuramente per rivedere questo capolavoro, e dove, se potete, consiglio a tutti voi di vederlo.

Albert Bucci