Ripercorrendo La vie en rose, Van Hoecke rievoca Édith Piaf

Debutto il 28 giugno all’Alighieri

Van HoeckeQuella del maestro Micha van Hoecke è una presenza “storica” del Ravenna Festival con il suo teatro danza musicale. Una perfetta fusione di danza e parola, gesto e musica, un intreccio simbiotico dei diversi linguaggi che muove l’inesausta vena creativa dell’artista di origine belga. La sua nuova creazione Chanteuse des rues – una produzione originale del Festival – è ispirata a Édith Piaf, il “passerotto” della canzone francese, che andrà in scena martedì 28 giugno al Teatro Alighieri di Ravenna.

Sarà un susseguirsi di quadri scenici a suggerire il mondo che circondava la chanteuse de rue, affollato di personaggi variopinti e lunari. A cominciare da Jean Cocteau, che l’andava ad ascoltare nel locale notturno dove si esibiva e le dedicò poi la famosa pièce Le bel indifférent. Nel lavoro del coreografo e regista van Hoecke, tutte queste suggestioni confluiscono in un ritratto virtuale di Édith, mai chiamata direttamente in scena. Una rievocazione di affetti e di nostalgia per una stagione intensa, in parte condivisa dallo stesso coreografo che – proprio negli ultimi anni di vita di Piaf – viveva a Parigi e ne respirava umori e atmosfere. Protagonisti sul palcoscenico i DanzActori di Ravenna Festival, accompagnati dalla versatile fisarmonica di Simone Zanchini.

Micha, cosa ricorda della Parigi di quegli anni?
«Nella capitale francese ho vissuto a lungo, fra gli anni Cinquanta e Sessanta. Arrivai lì che ero appena un bambino e ho avuto l’opportunità di studiare con Olga Preobrajenskaya, prima di entrare a far parte della compagnia di Roland Petit nel 1960, e successivamente in quella di Maurice Béjart. Piaf è morta nel 1963 e non scorderò mai l’atmosfera speciale che ha ispirato anche altri miei spettacoli, fra cui Les mariés de la Tour Eiffel che ho portato al Teatro Massimo di Palermo. Sono sempre stato un grande ammiratore di Piaf e di Jean Cocteau, che ascoltavo tutti i giorni in radio, così come di tutti gli artisti che hanno incrociato la sua vita e che lei ha aiutato a emergere, fra cui Gilbért Becaud, Yves Montand, Charles Aznavour e Moustaki».

Micha Van HoeckeQuando Piaf e Cocteau si conoscono, è l’incontro fra due mondi diversi…
«Sì, Cocteau amava definire la voce di Piaf «un’onda altissima di velluto nero», o ancora «una voce che sconvolgerà il mondo nei secoli dei secoli». Si conobbero negli anni Trenta quando lei era una giovane di belle speranze che cantava in un cabaret. Da quel giorno, il poeta-intellettuale e la cantante di strada iniziarono un’amicizia e un sodalizio talmente grande, autentico e profondo che neppure la morte riuscì a spezzare. Cocteau, infatti, morì lo stesso giorno di Edith, l’11 ottobre 1963, mentre si preparava a pronunciare alla radio l’elogio funebre della sua grande amica. Nessuno, neanche i benpensanti dell’entourage élitario di Cocteau che guardavano con diffidenza al loro rapporto, riuscì mai a dividerli».

Qual è stata la grandezza dei due artisti?
«Piaf era in grado di “toccare” l’animo umano, non era solo una cantante ma una creatrice. Prima di lei, parole e melodie andavano insieme, poi l’interpretazione ha cominciato a essere importante. Lei cantava i personaggi, e si ritrovava in ognuno di loro, in maniera autentica. Una perfetta simbiosi tra parole, musica ed espressività, con un grande senso dell’umorismo. Tutti possono cantare Piaf, senza mai essere lei però! Dal canto suo, Cocteau era un genio di grandissimo spessore, in grado di spaziare in tutti gli ambiti, dalla pittura al teatro, dal disegno alla poesia, dal cinema alla danza. Ha influenzato fortemente i Ballets Russes e artisti del calibro di Pablo Picasso e Igor Stravinskij».

Come si “traduce” l’incontro Piaf-Cocteau in Chanteuse des rues?
«I due artisti si incontrano in un mondo irreale, in uno spettacolo creato sotto forma di liturgia, per rendere omaggio a lei, alle sue canzoni, a lui, alle sue poesie, con l’accompagnamento della musica di un fisarmonicista e del gruppo di attori e danzatori che collaborano spesso con Cristina Mazzavillani Muti nelle produzioni di cui è regista. L’idea dello spettacolo mi è stata proposta dal Ravenna Festival e spero che il risultato sia qualcosa di diverso dai tanti omaggi fatti soprattutto in Francia, proprio per questa particolare dimensione che dona ai due grandi Piaf-Cocteau l’eternità che meritano…».

Si rinnova anche quest’anno il suo sodalizio con il Ravenna Festival…
«Sì. Quello che si è instaurato è ormai un rapporto che va oltre il sodalizio artistico, grazie alla forte amicizia che mi lega a Cristina, conosciuta molti anni fa tramite il maestro Riccardo Muti al teatro alla Scala di Milano, dove ero impegnato nelle coreografie di Orfeo ed Euridice di Gluck. Ravenna per me è una città speciale, in cui ancora è possibile lavorare con uno spirito di bottega artigianale, con un pubblico fortemente interessato e in un ambiente caloroso. Cristina ha sempre tenuto a legare al festival gli artisti per far vedere agli spettatori la loro evoluzione nel tempo».

Ci può rivelare quali sono i suoi prossimi progetti?
«Questo non è un momento facile per la cultura, e in particolare per la danza. Rispetto ad anni passati, tutto è molto più complicato. A maggior ragione mi reputo un privilegiato per avere sempre così tante opportunità per esprimere la mia creatività e la mia esperienza. Sto aspettando l’avvio di un progetto con Riccardo Cocciante, con cui ho un rapporto consolidato da anni, e di altri lavori teatrali. Ma preferisco non dire di più per scaramanzia…».

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