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    Categoria: cultura

Marco Belpoliti: «L’intellettuale? Un mediatore culturale»

Il creatore di Doppiozero al teatro Rasi per la festa della rivista nell’ambito del festival Enter di Ermanna Montanari

Marco Belpoliti

Saggista, scrittore, docente di Sociologia della Letteratura all’Università di Bergamo, critico di Repubblica e creatore della rivista Doppiozero, Marco Belpoliti è una figura di intellettuale poliedrico che promuove giovani voci e ricorda la tradizione dei maestri. Autore di molti saggi su Primo Levi, Calvino e Pasolini, ha scelto Ravenna per festeggiare Doppiozero in due giornate intitolate “Gli irregolari” all’interno del festival Enter diretto da Ermanna Montanari del Teatro delle Albe.

Belpoliti sarà in dialogo con Giovanni Lindo Ferretti al Rasi l’8 aprile nel corso del pomeriggio di incontri che avrà inizio alle 15 (a questo link il programma delle due giornate).

Pasolini, Testori, Levi erano intellettuali che muovevano le coscienze e l’opinione delle persone, oggi qual è il ruolo dell’intellettuale?
«Non sono più direttori di coscienza, ma mediatori culturali. La cultura di massa è molto pop, molto veloce, satura di immagini, ma non approfondisce. Il ruolo degli intellettuali di oggi, come Bauman, è quello di cercare di spiegare a tutti, anche a quelli che leggono poco, quali sono i problemi sul tappeto. Aiutano il passaggio da fatti molto complessi a concetti più semplici. Il che non significa che siano dei semplificatori».
Anche i luoghi di discussione culturale sono molto cambiati. Come definirebbe Doppiozero: una rivista, un luogo di riflessione, un blog, una casa editrice…
«È tutto questo assieme. Se uno va a vedere cos’erano Il politecnico o L’Espresso quando nacquero era la stessa cosa. Non ci sono grandi differenze. Il supporto è diverso, perché da cartaceo è diventato immateriale, ma non c’è una differenza di approccio. Oggi non si può fare una cosa sola. Siamo una rivista, un blog, un editore, tutto assieme. Anche se è faticoso e dispersivo. La cultura si è molto parcellizzata e noi cerchiamo di fare una sintesi. Cerchiamo inoltre di essere un ponte tra generazioni facendo scrivere assieme giovani ventenni e autori di settanta anni».
Trova che tra queste generazioni così lontane ci siano molte differenze nell’approccio alla scrittura, alla lettura e in generale alla cultura?
«Tendo a vedere più tratti che hanno in comune che quelli che li differenziano. Negli ultimi anni si è parlato molto delle rotture generazionali, credo sia ora il momento di parlare della continuità, della tradizione intesa come il senso di tramandare qualcosa. Non siamo una rivista di rottura, ma di cucitura».

Marco Belpoliti

In un suo saggio ha scritto che la nostra epoca è segnata da due crolli, opposti e simmetrci, che hanno segnato la storia occidentale: la caduta del Muro di Berlino e l’abbattimento delle Twin Towers. Crede che la nostra sia un’epoca di decadenza?
«Non direi di decadenza, ma caotica, multipolare. Sono stati due crolli molto diversi tra loro, il primo ha creato una apertura, il secondo una chiusura. Credo che il nostro sia un periodo molto vario, ma anche molto fertile. Dipende da dove si mette l’accento. C’è Trump e ci sono i nuovi muri culturali, certo, però ci sono anche forti elementi di apertura. La storia vista da lontano è fatta meno di picchi e di abissi di quello che sembra. La sindrome dell’intellettuale è la sindrome dell’apocalisse. Con il dito alzato dice “ecco qui” e indicano una rottura, il 1914, il 1943, il 2011, ma ci sono anche atti che uniscono, anche se sono meno vistosi e più lenti».

“Viviamo sotto la minaccia continua di due prospettive egualmente spaventose, anche se apparentemente opposte: la banalità ininterrotta e un terrore inconcepibile”. Susan Sontag lo scriveva nel 1965, ma quasi cinquant’anni dopo le cose non sono cambiate. Al contrario, ogni giorno ci dispensa dosi massicce tanto di banalità quanto di terrore. Parlava di questi due estremi ne L’età dell’estremismo uscito tre anni fa, crede che le cose stiano ancora procedendo verso questi due poli?
«Questa contrapposizione non è finita. Se uno guarda l’oceano da sopra una barchetta gli sembra che, un giorno sì e uno no, il mare sia in tempesta. Se uno scende con un batiscafo nelle profondità marine gli sembra che sia tutto immobile. Dipende dal punto di vista che si assume. Da lontano, con uno sguardo che vede mille anni, tutto sembra più immobile e certe contrapposizioni rimangono in tutte le epoche».

Karl Marx  aveva scritto che “La storia si ripete sempre due volte: la prima volta come tragedia, la seconda come farsa”. Siamo entrati nella fase della farsa?
«Di farse ce ne sono state molte nel tempo. A volte ci sono state tragedie che erano anche farse allo stesso tempo, come la prima guerra mondiale. Marx aveva una visione limitata del tempo perché era all’inizio del capitalismo industriale, poi è stato tutto un susseguirsi di tragiche farse».
Un tempo la politica era molto legata alla riflessione culturale, oggi pare che sul ragionamento abbia vinto l’ entertainment.
«Lo spettacolo è uno degli elementi dominanti della nostra epoca, però si può scegliere di seguire ritmi e tempi diversi. È una scelta. Un intellettuale può anche andare in televisione, tutto dipende da come si affronta la cosa anche se Pasolini diceva che la televisione è una “macchina infernale”».
Oggi di “macchine infernali” ce ne sono numerose, non oso pensare cosa direbbe Pasolini di Facebook…
«Io non ho Facebook e nemmeno la televisione quindi sono fuori da questo mondo».
Però ha lanciato una forma di fiaba breve usando Twitter…
«Sì, sono esperimenti che si fanno… Lo uso come sveglia per dire “c’è il giornale, vuoi leggerlo?”. I social sono come tutte le macchine mediatiche: esce quello che ci metti dentro, come diceva McLuhan».

Come ultima cosa vorrei chiederle di consigliarci due libri, uno uscito recentemente che possa essere una lettura utile per i nostri anni, e l’altro invece un libro del passato che andrebbe riscoperto.
«Sul passato non ho dubbi: I sommersi e i salvati di Primo Levi è uno dei libri più importanti del XIX secolo che è incentrato sul rapporto con il potere, ed è molto attuale. Di libri usciti di recenti faccio più fatica, perché ne leggo tanti. Direi i Ritratti italiani e Ritratti e immagini di Arbasino».