Policicchio e Barberini: due voci che innovano il mosaico

Effetto straniante a Vibra, humor nero alla Mag in Darsena

Mentre ci avviamo alla chiusura alla Biennale del Mosaico (25 novembre) cogliamo l’occasione di parlare di due mostre che presentano la nuova generazione di mosaicisti, Sergio Policicchio e Luca Barberini, che nella differenza di stile e poetiche rappresentano punte di innovazione per questa arte tradizionalmente radicata nelle origini della città.

Policicchio

Allo spazio Vibra, vicino a Piazza Kennedy, sono allestiti i mosaici a parete di Sergio Policicchio, un artista che si è trasferito a Ravenna da poco più di una decina di anni, luogo che condivide con l’Argentina, dove è nato, e la Moldavia. L’eterogenità dei luoghi di vita corrisponde a una ecletticità di esperienze che vanno dal lavoro a mosaico – presentato recentemente anche in Belgio e Argentina – al campo della perfomance, danza e teatro.Appassionato alla dimensione temporale che attraversa le cose, compresi i materiali, una parte dei suoi lavori musivi è centrata su questa riflessione a cui si aggiunge l’interesse verso spazialità e corpo. Nei mosaici esposti in galleria – una mostra a cura di Daniele Torcellini e che fa parte di un progetto complessivo dell’Associazione Marte – la dimensione corporea è protagonista se non altro per la reiterazione della figura umana: secondo una tecnica già sperimentata dall’artista, il lavoro eseguito a partire da immagini fotografiche di figure intere, volti e mezzobusti si dirige su parti a micromosaico con inserimenti di pietre di medie dimensioni. L’effetto è straniante ri­spetto ai soggetti raffigurati su basi uniformi o di legno a causa del procedimento ottenuto, per tradizione non ravennate: le minuscole tessere ricalcano la fotografia trasformandone la nitidezza in una reticolarità calibrata. Il risultato paradossalmente avvicina le immagini al disegno mentre in alcuni casi la parte musiva si sostituisce alla fotografia, inserendo strani particolari percepibili solo a distanza ravvicinata. Il macroinserimento di pietre spez­za l’insieme, creando una frattura fra la figura e lo spazio, talvolta sostituitendosi al confine corporeo. In altre opere queste aggiunte inseriscono forti effetti dinamici o aumentano la decoratività dell’insieme. Il risultato complessivo – fortemente estetizzante, anche per la bellezza evidente nella scelta dei modelli – non viene a mancare nella scomposizione dei visi come se il tempo e le sue fratture passassero sulle figure lasciandole indenni, stabilizzandone la purezza ideale.
Luca Barberini La seconda mostra – “Particle” di Luca Barberini, a cura di Alessandra Carini alla Galleria MAG in zona Darsena – porta decisamente verso altre esplorazioni sulla strada del mosaico. Pur mantenendo un punto fermo nella scelta della tecnica appresa nella sua città natale, l’artista ha mescolato la sua esperienza con una profonda attenzione al mondo del fumetto e dell’illustrazione, collaborando nel tempo anche con professionisti di questi campi.
I lavori di Barberini, sempre più presenti all’estero, fanno della contaminazione di linguaggi e materiali uno stile originale, reso più forte dalla sua personale visione del mondo e da un’ironia conclamata che spesso trascina negli abissi della satira. Il grande mosaico parete alla MAG è un riassunto della sua poetica e stile, composto come è di macrotessere essenziali, utilizzate come piccoli segni a plàt. Tre tessere per un volto, una per il busto e altre quattro per gli arti: come in alcuni processi a fumetto, gli elementi sono essenziali mentre è l’insieme a definire azioni, dinamismo ed espressività. Oltre ai materiali tradizionali, in questo linguaggio commisto compaiono anche piccole placchette fotografiche – soprattutto per le immagini di personaggi politici rimandate dalle onnipresenti Tv – e un fondo grigio con segni incisi che rendono ombre, spazi o sottolineano le azioni.
Barberini La storia, intesa come insieme degli accadimenti umani nei particolari delle vite, è il campo di interesse dell’artista che stigmatizza la caduta dei valori, l’estremizzazione di altri, la violenza e la vacuità delle esistenze, divise fra un rapporto privilegiato con lo schermo televisivo e la solitudine vissuta nei condomini. Il tocco alla Ensor degli scheletri che interagiscono con gli umani rafforza l’humour nero che imbeve tutta la scena: nonostante piccoli episodi di solidarietà, amore o divertimento, prevale la percezione di umanità alla deriva sulle “navi dei folli” dedicate alla democrazia o sui barconi dei migranti, dove esistono squali pesci e umani e le armi possono essere un coltello e una bomba ma anche un semplice telefonino.

 

Sergio Policicchio, La visione dell’invisibile, spazio Vibra, via M. Fantuzzi 8 – Ravenna, fino al 25 novembre; orari: Mar e Gio 17/19, Sab 10/13, 17/19
Luca Barberini, Particle, MAG -Magazzeno Art Gallery, via Magazzini posteriori 37 – Ravenna, fino al 25 novembre; orari: Mer-Ven 16/19.30, Sab 10/ 13, 16/19.30

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