Il viaggio di riscatto di Diego Pascal Panarello: dalla Sicilia alla Yakutia

Il 14 e il1 5 maggio il cinema Mariani ospita The Strange Sound of Happiness. Una produzione indipendente e un progetto fortemente voluto e appoggiato da chi il cinema lo vive e lo ama

Diego Pascal PanarelloTutto nasce da un’urgenza narrativa: «Lo scacciapensieri, per alcuni è uno strumento musicale antichissimo. Per altri uno strumento magico a forma di chiave che apre molte porte. Quando ho iniziato a suonarlo, ho provato uno strano piacere e ho deciso di raccontarlo». Così spiega Diego Pascal Panarello, autore debuttante di The Strange Sound of Happiness. Il film è il racconto del viaggio – fisico e spirituale – che Diego, quarantenne alla deriva, operatore audiovisivo e musicista insoddisfatto, senza piani per il futuro, intraprende seguendo l’ipnotico suono del marranzano, il tipico souvenir siciliano noto come scacciapensieri. Un viaggio di riscatto, dalle coste siciliane alle pianure siberiane della Yakutia, dove lo scacciapensieri è lo strumento musicale nazionale. Il “suono della felicità” sembra essere qui. Una storia vissuta in prima persona, che il regista ha deciso di raccontare mescolando genere documentario e fantastico.

Prodotto dalla Stefilm di Torino con la tedesca Kick Film, menzione speciale al Dok Leipzig Festival, unico film italiano in concorso al Bergamo Film Meeting, presentato in questi giorni a Hot Docs di Toronto e al Docaviv International Documentary Film Festival di Telaviv, The Strange Sound of Happiness è uscito nelle sale italiane lo scorso 18 aprile, distribuito dalla bolognese Apapaja.

Produzione indipendente, progetto fortemente voluto e appoggiato da chi il cinema lo vive e lo ama, non poteva non privilegiare per la sua promozione le piccole e preziose sale d’essai. Infatti incontriamo Diego in una delle storiche roccaforti del cinema di qualità del territorio: il Gulliver di Alfonsine, il “cinemino lilla” come lo definisce lui con entusiasmo. Il 14 e 15 maggio il Cinema Mariani di Ravenna ospita la proiezione del film. Il regista e musicista siciliano a fine proiezione incontrerà il pubblico.

Come è iniziato questo percorso?
«Il motore è stata la noia. Non avevo niente da fare e ho iniziato a cercare cosa c’è dietro a questo strumento che mi parla. Senza dubbio tutto è iniziato perché sono stato chiamato, scelto da questo “pezzo di ferro”. All’inizio non avevo idea che la cosa si sarebbe protratta per così tanto tempo (il progetto ha preso forma attorno al 2011, ndr). Il percorso è stato lungo ma devo dire che alla fine questa lunghezza mi ha gratificato. Se fosse stato fatto in fretta il film non sarebbe quello che è. Io non ho fretta, non faccio film per fama o soldi. Se ho qualcosa da raccontare la racconto…».

Le recensioni faticano ad incasellare il tuo film: documetario, road movie, fantasy mescolata a mito, animazione, film di formazione, assurdo, naif, punk. Tu come lo vedi?
«Bella domanda. Docu-Fantasy, oppure Far East… Space-Eastern, ecco».

Come sei arrivato alla Yakutia?
«Ho iniziato a studiare lo strumento ed ho incontrato le persone che fanno un festival a Catania, il Marranzano World Festival. Mi ci sono trovato dentro quasi per caso, all’epoca vivevo a Londra, sono tornato in Sicilia per una settimana e in quella settimana c’era il festival e la mia ragazza mi ha lasciato… Con la sua telecamera ho ripreso quelle persone esperte e tutte parlavano della Yakutia e io mi chiedevo dov’era ‘sta Yakutia. Io sapevo che era nel Risiko… Poi a Parigi è arrivato uno yakuto che doveva registrare un album, ho preso un treno e sono andato ad incontrarlo».

Quindi una storia in divenire?
«Totalmente, mi sono buttato in questa avventura per puro piacere personale, volevo esplorare questo mondo, ho studiato, fatto ricerche, ho iniziato a scrivere la storia, ho incontrato il produttore. Un’impresa che procede come la vita…».

Si è rotto veramente il tuo marranzano?
«Si, tra uno shooting e l’altro, quindi il film è cambiato. Il film è stato molto scritto a priori ma molto rivisto, riscritto durante le riprese. Mi ha aiutato lo scrittore Andrea Bajani, con cui ho avuto una magnifica relazione: io scrivevo delle cose e lui le riadattava, poi il suo ruolo è diventato quello di consulente narrativo.

Che storia segreta ti ha raccontato il ferro magico?
«Di provare a suonarli, i pensieri. Ascoltandosi, cercando veramente di capire cosa vogliamo, quali sono i nostri desideri e seguirli. Sicuramente il ferro mi ha insegnato ad ascoltarmi, mi ha aiutato a dialogare con me stesso. Il messaggio segreto, ma poi non così segreto, è che gli esseri umani sono tutti uguali, una banalità ma il ferro, con l’espressione sonora, lo rappresenta molto bene».

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