Romolo Conti, l’uomo del Genio civile che ha plasmato la Ravenna ottocentesca

Fino all’8 aprile, alla Biblioteca Classense, una mostra documentaria su Romolo Conti, capo ingegnere del Comune, urbanista e curatore del patrimonio culturale cittadino

Scorci Ravenna Ottocento

Cercare di fare una sintesi della vita e dell’opera del faentino Romolo Conti (1832-1908) non è semplice. La mostra documentaria allestita nel corridoio grande della Classense sulla sua figura – sicuramente centrale nella vita culturale, monumentale, economica, artistica e naturalistica di Ravenna – costituisce il primo tentativo di illuminare l’opera di questo ingegnere, la cui storia complessa si intreccia a quella della sua città adottiva ma anche a quella di un’Italia appena nata.

Immagino che alla maggior parte dei ravennati il suo nome non dica molto ma la figura di Conti prende tutt’altra dimensione solo a nominare alcuni luoghi fisici, personaggi e istituzioni di Ravenna a cui è collegata: viale Farini e i giardini davanti alla stazione, la pineta, il cimitero monumentale, l’Accademia di Belle Arti, la pinacoteca cittadina, Corrado Ricci e Luigi Guaccimanni, Dante Alighieri e la zona dantesca. Queste sono solo alcune delle tracce in cui Conti fu strettamente coinvolto o addirittura solo e indiscusso artefice.

La mostra in Classense, a cura di Claudia Foschini, presenta per la prima volta documenti, mappe, disegni, progetti e fotografie che ripercorrono attraverso nuclei tematici le tappe fondamentali della sua vita. L’attività di Conti – una volta terminati gli studi di matematica a Bologna e di ingegneria a Roma – si avvia nel 1856 come ingegnere del Genio civile, l’organismo statale che progettava ed eseguiva le opere pubbliche. Siamo ancora prima della creazione dello stato italiano e un giovanissimo Conti inizia a operare a Faenza, dove progetta e costruisce un ponte sul Lamone. Due anni dopo, promosso grazie agli esiti delle sue prestazioni, viene trasferito a Ravenna giusto per assistere all’assorbimento dell’ente per cui lavora nel nuovo stato italiano e per entrare come ingegnere alle dipendenze del Comune di Ravenna.

Grazie al matrimonio con Marietta Bassi, imparentata con l’importante famiglia ravennate dei Rava, e in conseguenza della credibilità ottenuta per lavori ben progettati ed eseguiti in tempi stretti, Conti entra in contatto con numerosi personaggi di spicco di Ravenna. Dalla metà dell’Ottocento, nei posti chiave dell’amministrazione e delle istituzioni ravennati sono quasi tutti notabili cittadini che si distinguono per ricchezza e cultura; accanto a loro collabora un gruppo di borghesi colti, assegnati a posti chiave nella cultura o per passione coinvolti nel bene pubblico. Non manca infatti a questa élite un forte sentimento condiviso di appartenenza allo stato appena nato e una dedizione alla causa pubblica oggi difficilmente praticata e comprensibile. Per Conti l’attività si limita al lavoro ma si deduce la sua fede politica: agli esordi ha l’appoggio di Luigi Carlo Farini – romagnolo, mazziniano e Presidente del Consiglio del nascente stato italiano –; nel 1880 firma un libretto in memoria di Giuseppe Rava di chiara fede liberale e nello stesso anno sostiene la candidatura di Alfredo Baccarini, come lui romagnolo e ingegnere, amico di Garibaldi e allora Ministro dei Lavori pubblici.

Ad Italia fatta, nel 1865 ricorrono le grandi celebrazioni della nascita di Dante che all’epoca possiede in città solo una tomba vuota, il bel cenotafio settecentesco che conosciamo. Il Comune decide di far risistemare la zona dantesca per l’occasione: Dante non è solo il grande poeta che ha finito i suoi giorni a Ravenna ma in questo periodo di costruzione dell’identità nazionale rappresenta uno dei maggiori padri della patria. Durante i lavori, affidati a Conti e all’amico Filippo Lanciani, ingegnere del Genio civile, si colloca la scoperta sensazionale della cassetta contenente le spoglie mortali del divino poeta, murata a poca distanza dalla tomba. Secondo i ricordi tramandati dai familiari, i muratori corrono a casa Conti in via di Roma, urlando in dialetto di affrettarsi. Oltre a terminare interventi per qualificare l’area, l’ingegnere scriverà un paio di opuscoli per raccontare la scoperta e raccogliere le relazioni sui reperti.

Romolo Conti Ingegnere

Ritratto dell’ingegnere Romolo Conti

Nel decennio successivo, Conti costruisce alcuni palazzi in centro città, realizza i primi giardini pubblici nell’area limitrofa alla chiesa di San Giovanni Evangelista e il rettifilo dedicato a Farini che parte dalla stazione ferroviaria per congiungersi all’attuale Piazza del Popolo, in ordine all’idea di adeguare l’area urbana alle necessità e status della nuova classe dirigente. Sono decenni di febbrile attività per Conti che entra a far parte di numerose commissioni la cui funzione è quella di catalogare e proteggere i monumenti e i beni artistici ravennati: a lui vengono affidati gli inventari delle opere ritirate dalle corporazioni soppresse dallo stato italiano e il monitoraggio della loro collocazione. Lo stretto rapporto col sindaco e con Sigismondo Romanini e poi Filippo Lanciani – in successione direttori della locale Accademia di Belle Arti –, con Luigi Ricci, padre di Corrado, e con vari intellettuali cittadini e docenti dell’Accademia, favorisce un lavoro di inventariazione, controllo, intervento rivolto a numerosi monumenti e beni artistici che passano di proprietà al Municipio o, con la sua intermediazione, allo Stato.
È un peccato che proprio questa storia rimanga ancora sepolta nell’archivio dell’Accademia di Belle Arti di Ravenna – ad oggi scandolosamente ancora non inventariato – e in parte nell’Archivio di Stato che ha potuto collaborare solo marginalmente all’attuale mostra. Sicuramente è una fetta di storia che darebbe molti lumi sui monumenti maggiori e minori del territorio a cui Conti si dedica durante un arco di venti anni nella veste di ingegnere comunale, di segretario e poi consigliere dell’Accademia di Belle Arti.

Numerose sono le testimonianze che pongono Conti in una fitta rete di contatti rilevanti: con Corrado Ricci, all’inizio della sua carriera sfolgorante ma sempre in contatto con la città natale, con Odoardo Gardella e Filippo Lanciani, con direttori e responsabili di biblioteche e archivi di varie città emiliane. Lo scopo è quello di confrontarsi, condividere e prendere le migliori decisioni, talvolta anche intervenire con atti di mediazione. Un esempio sono le polemiche per la nuova costituzione del Museo civico bizantino che oppongono il direttore Enrico Pazzi e una fronda di intellettuali contrari a una movimentazione di beni per certi versi scriteriata. Romolo Conti propone in questo caso una linea di mediazione, ripercorsa anche in altre occasioni. Pur avendo infatti idee chiare su interventi e restauri – che risentono dichiaratamente dei gusti del tempo avversi al barocco – cerca di considerare l’integrità del patrimonio e le richieste della modernità secondo un’azione mediatrice che verrà applicata anche alla conservazione delle pinete ravennati.

Nelle teche della Classense seguono quindi le attività dell’ingegnere: i progetti e le fotografie del progetto del Cimitero monumentale e della risistemazione della balaustra della Loggetta Lombardesca, le carte di fondazione del Consorzio agrario, i numerosi scritti sulle casse di colmata del Lamone, fino all’esposizione romagnola del 1904. Si segue così fra le carte la versalità e integrità di un grande professionista insieme alla storia di una città che a lui deve molte delle sue pagine.

“L’arte di Romolo Conti. Il Capo Ingegnere del Comune di Ravenna fra le bonifiche del territorio e i lavori alla Tomba di Dante” –  Biblioteca Classense (corridoio grande), Ravenna; fino all’8 aprile. Orari di apertura: Lu 14-19, Ma-Sa 9-19; ingresso libero.

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