Il ritorno di Daniel Pommereulle, tra Surrealismo e “Deserto Rosso”

Alla galleria Pallavicini una serie di inchiostri su carta dell’artista francese fa luce anche su un’inaspettata versione internazionale di Ravenna

Daniel Pommereulle Dipinti

A 61 anni dalla sua prima esposizione a Ravenna – che fu la prima personale anche nel contesto della sua carriera – la Galleria Pallavicini22 espone una serie di opere prodotte alla fine degli anni ‘50 da Daniel Pommereulle (1937-2003), artista francese che ha arricchito la sua esperienza nelle arti visive con la scrittura, la regia e la recitazione.
Scegliendo per l’inaugurazione la data simbolica del compleanno dell’artista, la mostra illustra il particolare contesto artistico dei primi anni ‘60 in Europa – condivisi fra post-Surrealismo, Informale e i primi battiti della cultura Beat – facendo luce anche su un’inaspettata versione frontaliera e internazionale di Ravenna.

Curata da Laura Rosa e Roberto Pagnani con un interessante contributo critico in catalogo di Armance Léger, l’esposizione ricostruisce l’interessante côté ravennate alla nascita della sua storia industriale quando è frequentata da alcuni intellettuali di spicco fra cui lo storico dell’arte e critico militante Alberto Martini. Attivo a Ravenna e a Milano, esperto divulgatore della storia dell’arte grazie a fortunate iniziative editoriali, Martini è ben inserito nel panorama artistico europeo contemporaneo: lavora a stretto contatto con molti artisti emergenti fra cui Alberto Giacometti, Mattia Moreni, Giuseppe Ajmone, Gianni Dova. Fra i suoi amici di elezione e collaboratori c’è Roberto Pagnani – nonno e omonimo del curatore dell’attuale mostra – un collezionista raffinato che esplora e sostiene alcune linee di ricerca del tutto innovative – in particolare l’informale francese e italiano, l’Action painting statunitense – incrementando in questo modo la propria collezione. Ed è proprio dal lascito di questa che provengono le carte a china che Pommereulle eseguì a Venezia poco prima di esporle a Ravenna alla Galleria Antichità Fietta, decretandone il successo. Molti degli inchiostri vennero infatti acquistati da importanti collezionisti italiani mentre otto entrarono a far parte della collezione Ghigi-Pagnani.

Fu sicuramente Martini nella presentazione fatta alla mostra del ‘62 a comprendere la connessione profonda fra i segni a china nera che campeggiano nella serie – insistiti, ripetitivi, astratti ma contemporaneamente allusivi ad immagini oniriche – e i campi dell’interiorità e della rivelazione. I segni – frutto di una tecnica sostanzialmente automatica, grandemente praticata dai Surrealisti – che appaiono allo stesso tempo auto ed eterodirezionati, diventano per il critico vere esche per l’inconscio. Non a caso per Martini un primo riferimento viene fatto nei confronti dei lavori di Odilon Redon, un simbolista francese recuperato e rilanciato proprio dalla compagnia di André Breton. La sua capacità immaginativa senza fili, in grado di assimilare oggetti e particolari apparentemente del tutto estranei, ricorda in parte il processo creativo di Pommereulle.

Il secondo confronto è indirizzato allo scrittore Henri Michaux e ai suoi dessins mescaliniens et post-mescaliniens in cui vengono trascritte le visioni allucinatorie dettate dall’uso di droghe. Anche Pommereulle fa uso di stupefacenti, in particolare hashish, che producono una ipersensibilizzazione dei terminali percettivi favorendo la situazione ideale per perlustrare l’immaginario inconscio. Ma oltre a queste pratiche che accomunano i due francesi a tutta la Beat Generation, di qua e di là dell’oceano, occorre concentrarsi su una serie di contatti amichevoli e artistici sedimentati che creano una vera e propria costellazione generazionale.

Roberto Pagnani Daniel Poummarel

Roberto Pagnani con Daniel Poummarel a Ravenna, alla Galleria Antichità Fietta

Come altri, Pommereulle ha vissuto da bambino la seconda guerra mondiale. Il trauma infantile viene aggravato dalla partenza per il fronte algerino: l’artista ha 20 anni, troppo pochi per affrontare una guerra di occupazione persa in partenza e difficile da giustificare. Appena di ritorno a Parigi, la formazione artistica di Pommereulle si svolge in una rete di contatti di alto profilo: conosce Max Ernst, Roberto Matta, Errò, che gli aprono la poetica surrealista. Non è difficile infatti rivedere nelle linee automatiche a spirale e nelle forme astratte della serie degli inchiostri veneziani le carnose suggestioni figurative di Masson, il modello puramente interiore di cui scrive Breton o le creazioni oniriche di Tinguely. D’altra parte il Surrealismo dopo la seconda guerra mondiale avrà una diffusione globale e una segmentazione di senso per un’intera generazione che sceglie l’antagonismo alle guerre o la sensibilizzazione su temi inediti come il postcolonialismo o il rapporto fra uomo e natura.

Iniziano in questi anni le frequentazioni con l’Italia: Pommereulle assieme a Jean-Jacques Lebel e Alain Jouffroy scandalizza Milano con la presentazione della collettiva Anti-Procès III alla Galleria Brera. La procura fa sequestrare diversi quadri per vilipendio alla religione cattolica anche se il tema principale dei lavori è l’opposizione alla guerra in Algeria, alla tortura e al razzismo. In questa mostra oltre ai francesi e all’islandese Errò partecipano anche Enrico Baj, Gianni Dova, Antonio Recalcati, Roberto Crippa che insieme realizzano un grande quadro collettivo a tema antifascista. Da Milano a Venezia il passo è breve: l’occasione di una personale di Errò alla Galleria del Cavallino porta Pommereulle, Dova e Crippa nel giro di Peggy Guggenheim, Erik Dietman, Daniel Spoerri, Matta e molti altri. Il raddoppiamento visivo della laguna, i colori e l’acqua incrementano le suggestioni provocate dalle droghe che contribuiscono in modo essenziale alla realizzazione di questa serie di inchiostri su carta, caratterizzati da un gesto veloce, fluido, che restituisce la pulsazione del pensiero.
Ed è proprio l’aritmia di quel battito che affascina Michelangelo Antonioni quando gira nel ‘64 Deserto rosso per una Ravenna che è un fantasmatico crocevia fra dimensione esistenziale e superamento di un’identità collettiva. Si sapeva che un dipinto di Gianni Dova era inserito in uno degli interni di scena: l’attuale mostra ha permesso a Filippo Trerè di riconoscere anche un lavoro di Pommereulle, entrambi selezionati dal regista dalla collezione Ghigi-Pagnani.

“Daniel Pommereulle. Le retour à Ravenne”. Ravenna, Pallavicini22 Art Gallery, viale G. Pallavicini 22. Fino al 30 aprile – orari di apertura : mar-dom 10-12 e 16-19.

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