«Nei teatri dei Balcani l’orizzonte è complesso, polifonico, transitorio…»

Il focus di Polis festival in un intervento (e una tavola rotonda) sullo stato dell’arte. «Siamo di fronte a espressioni artistiche in cui, inevitabilmente, si staglia l’ombra della Jugoslavia, a suo tempo spazio culturale, intellettuale, creativo fiorente… La nuova generazione di teatranti avanza con poca memoria, solo col suo eco, il suo fantasma. Ma con una sua potenza…»

Divjak Il Gioco

Žiga Divjak, “Il gioco” (foto Matej Povse)

Pubblichiamo questo intervento della giornalista e critica teatrale Natasha Tripney  che nell’ambito del festival Polis coordina la tavola rotonda (6 maggio, ore 15, teatro Rasi) sul tema dell’attuale scena teatrale del Balcani che vede la partecipazione di esperti e studiosi quali Ivan Medenica, Sasho Ognenovski, Dubravka Vrgoč.

«Si può parlare di teatro dei Balcani in diversi modi. Ciò è necessario perché non si tratta di un teatro monolitico, ma di una serie di scene teatrali differenti.
Può essere visto come il teatro di una particolare regione geografica, ma i confini di quella regione possono variare a seconda della persona con cui stai parlando. È un teatro (o teatri) in cui, inevitabilmente, si staglia l’ombra della Jugoslavia. Composta da sei repubbliche – Serbia, Croazia, Slovenia, Macedonia, Bosnia-Erzegovina e Montenegro, e due regioni autonome, Kosovo e Voivodina – la Jugoslavia è stata, per un periodo, uno spazio artistico, intellettuale e culturale fiorente. Il BITEF festival di Belgrado era conosciuto a livello internazionale come palcoscenico per le avanguardie e come ponte vitale tra Est e Ovest. Ma la Jugoslavia ha cessato di esistere più di 30 anni fa, e sarebbe sbagliato pensare al teatro contemporaneo dei Balcani solo come a qualcosa di modellato dal suo passato socialista – specialmente dato che il principio guida di fratellanza e unità non è stato applicato in maniera uniforme in tutti i paesi – o dalle guerre che l’hanno poi devastata. Ora c’è una nuova generazione di teatranti che si fa avanti con poca memoria della Jugoslavia, solo con il suo eco, il suo fantasma.

Qualcuno potrebbe pensare al teatro dei Balcani come a un albero con molti rami e una radice comune, ma anche questa metafora è molto semplicistica. È forse meglio descrivere che definire. Il programma di POLIS Teatro Festival espone la varietà del teatro dei Balcani di oggi. Comprende lavori come Il gioco del giovane regista sloveno Žiga Divjak , una rappresentazione dolorosa dei brutali respingimenti subiti dai rifugiati sulla rotta balcanica. Usando materiale documentario raccolto da coloro che hanno subito tali trattamenti disumani, è un resoconto straziante dello spietato sistema di controllo delle frontiere europee.
Il minatore di Husino dell’artista bosniaco Branko Šimić è un’installazione che esamina la transizione tra socialismo e post-capitalismo tramite i suoi monumenti. Fondendo testo, scultura e luci disco, invita il pubblico a riflettere.
C’è poi il lavoro del prolifico drammaturgo kosovaro Jeton Neziraj, che nelle sue opere spesso provocatorie, disseziona la cultura, la politica e le questioni sociali del suo territorio. Nella Vergine giurata esplora un particolare fenomeno sociale albanese – le donne che assumono il ruolo di uomini nelle loro comunità, e a cui vengono attribuiti lo stato e i privilegi degli uomini – mentre allo stesso tempo mette in discussione la fascinazione e la tendenza occidentale a esotizzare queste persone.

Oliver Frljić “Dannato sia il traditore della patria sua!”

Oliver Frljić, “Dannato sia il traditore della patria sua!” (foto Ziga Koritnik)

Il regista croato Oliver Frljić è uno degli autori più conosciuti di questo territorio. I suoi lavori hanno attraversato tutta l’Europa – la sua produzione del 2017 La maledizione è stata soggetto di molte controversie in Polonia – e lavora attualmente al Maxim Gorki Theatre a Berlino. Il suo spettacolo di 13 anni fa Dannato sia il traditore della patria sua!, che come Il gioco è prodotto dall’innovativo Mladinsko Gledališče di Lubiana, affronta esplicitamente l’implosione della Jugoslavia e delle correnti di nazionalismi che hanno portato al suo collasso.

Questi spettacoli sono tutti marcati da differenti approcci nella forma e nella drammaturgia. Sono linguisticamente distinti – al festival andranno in scena in albanese, sloveno e bosniaco. Ma insieme queste performance offrono un assaggio dello spettro del lavoro fatto in questa regione, lavoro che esplora questioni che ruotano attorno alle specifiche identità nazionali dei paesi, ma che si rivolge anche a temi universali: la situazione dei migranti, la crisi climatica, l’impatto devastante del tardo capitalismo. È un teatro che spesso viene prodotto in circostanze complesse, in ambienti politicamente ostili o in opposizione a narrazioni dominanti, che lo rendono ancora più potente. È un teatro di transizione in transizione, complesso e polifonico, e, come risultato, eclatantemente difficile da definire».

Natasha TripneyNatasha Tripney è scrittrice, editor e critica con sede a Londra e a Belgrado. È editor internazionale di “The Stage”, il giornale del settore teatrale del Regno Unito. È anche redattrice di “SEEstage”, la piattaforma di critica teatrale del Sud-Est Europa. Nel 2011 ha co-fondato “Exeunt”, rivista teatrale online che ha diretto fino al 2016. Collabora regolarmente con il “Guardian”, l’“Evening Standard”, la “BBC” e “Kosovo 2.0”.

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