“Due regine” sul palco del Ravenna Festival: energia e incanto al femminile

Bis di rappresentazioni per le attrici Elena Bucci e Chiara Muti, che al Teatro Rasi interpretano Elizabeth Tudor e Mary Stuart

Bucci Muti Due Regine

Elena Bucci e Chiara Muti, “Due Regine” (foto Luca Concas)

Anno 1561. Sulla Grande isola britannica due regine siedono sui rispettivi troni: Elisabetta, figlia di Enrico VIII Tudor, governa da tre anni l’Inghilterra. Maria, sua cugina, è da poco rientrata dalla Francia per reclamare il suo posto come regina di Scozia. In lei, pronipote di Enrico VII, scorre il sangue dei Tudor, ed è per questo motivo che Elisabetta la teme. Forte è il suo carattere ma fragile è la sua posizione, non solo per la sua presunta illegittimità, contestata da Roma e dai sovrani cattolici, ma anche perché il suo ostinato rifiuto di prendere marito la espone al dubbio della successione. Dopo di lei, chi?

È su un contrasto tutto al femminile che si gioca la partita dei regni. Due donne al potere, Due regine per l’appunto, diverse per natura ma simili per condizione, si affrontano sul palcoscenico della Storia, che il 18 e 19 luglio Elena Bucci e Chiara Muti hanno portato con maestria ed eleganza al Teatri Rasi, nell’ultimo degli appuntamenti teatrali proposti quest’anno dal Ravenna festival.
Il loro è uno spettacolo di luci e ombre, scarno per scenografia ma generoso per costumi e interpretazioni. Le attrici si muovono sul palco attraendosi e respingendosi come in una danza, narrando le vicende che portarono due donne, per la prima volta nella Storia, a sedere contemporaneamente sullo scranno più alto del potere. Più intelligenti, più colte persino dei loro ministri, eppure così sottovalutate.

Elena Bucci e Chiara Muti mettono in scena un gioco di specchi finalizzato a evidenziare le differenze tra Elisabetta e Maria – protestante l’una, cattolica l’altra, risoluta e ferma la prima, passionale e avventata la seconda – che però finisce per evidenziarne le somiglianze, in primis quelle relative alla condizione di donne che per nascita e destino si trovano a ricoprire un ruolo non riconosciuto loro dagli uomini che le circondano. Elisabetta si guarderà bene dal cederne anche solo una parte mediante matrimonio; Maria sarà meno accorta, e questa, lo spettacolo suggerisce – e la Storia lo conferma – , sarà la sua rovina.

Le due donne, che per anni regnarono fianco a fianco sulla stessa grande isola, non si incontrarono mai, neppure quando Maria, costretta a fuggire dalla Scozia per la ribellione dei protestanti, si rifugiò a Londra, dove Elisabetta la tenne rinchiusa per 19 anni temendo ripercussioni su di sé. E risiede in questa presenza-assenza nelle rispettive vite il perno sui cui ruota la tensione drammatica della loro vicenda e su cui lo spettacolo intende fare leva, lasciando a ciascuna interprete il proprio spazio scenico senza che interferisca mai con quello dell’altra. I personaggi si guardano da lontano ma non si toccano, si attraggono ma non arrivano mai a conciliarsi, tanto in scena quanto in vita.

La conclusione è nota: Elisabetta, con una mossa quasi casuale, condanna a morte la cugina Maria. È una decisione difficile, che fonde insieme l’onta del tradimento e il rispetto per quella che riconosce come sua degna rivale, una sua pari, forse l’unica.
È proprio per questo che, morta Maria, l’identità di Elisabetta per la prima volta vacilla. Era Maria, con il suo carattere così diverso, con la sua sconsideratezza e la sua ingenuità sentimentale, a tenere viva la partita dei regni. Senza di lei, tutto si placa, certo, ma subentra anche la solitudine del potere, agognata da Elisabetta eppure pesante da sopportare. Non a caso, ella designerà come suo erede il figlio di Maria: è in questa discendenza che, alla fine, le due trovano forse una conciliazione. Due regine su un unico trono. Sotto Giacomo I, le corone di Scozia e Inghilterra si uniranno per la prima volta.

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