L’omaggio di Ravenna ad Antonio Marchetti, artista inclassificabile

Fino al 30 settembre, alla Classense, “City. Opere 2002-2013”. Sabato 2 l’inaugurazione e la presentazione del catalogo generale dei suoi lavori artistici

Fig. 2 Antonio Marchetti Summer

Dal 2 settembre alle 17.30 nella Manica Lunga della biblioteca Classense di Ravenna inaugura una mostra di Antonio Marchetti (Pescara 1952 – Rimini 2013), intitolata “City. Opere 2002- 2013”. Contestualmente nella Sala Muratori sarà presentato il catalogo dell’opera completa dell’artista. La mostra rimarrà aperta fino al 30 di settembre da martedì a venerdì dalle 15 alle 18.30, sabato dalle 9.30 alle 13 e dalle 15 alle 18.30.

«Vario son da me stesso»: questo è il motto, tratto dall’Arcimboldo, che Antonio Marchetti aveva fatto suo per rappresentare l’indefinibile complessità della sua vita e, aggiungerei, della sua ricerca artistica. Artista raffinato e proteiforme, ha sperimentato le più diverse tecniche, dalla grafite al carboncino, dall’acrilico all’olio, dalla terracotta alla maiolica, dal metallo agli spilli da entomologo (un omaggio a Ernst Jünger?), al legno, alla cera, agli stracci.

Dopo aver frequentato l’appena fondata Facoltà di Architettura di Pescara, che gli darà quel senso dello spazio che si ritrova in tutte le sue opere successive, si trasferisce a Ravenna, che diventa la sua città d’elezione. Qui insegna per molti anni al Liceo Artistico, sperimentando sempre una didattica innovava. Ma la docenza non può bastargli, e Marchetti inizia un’attività culturale che lo porta a fondare la rivista Stilo, aperta al confronto tra le più avanzate ricerche artistico-letterarie degli anni Ottanta e che, nel titolo, gioca sul duplice significato di “colonna” (ancora l’architettura) e dello strumento con cui i romani scrivevano su tavolette di cera. Ma Stilo ha inevitabilmente a che fare anche col problema dello “stile”. Uno stile, appunto, che Marchetti non ha mai voluto inseguire nel corso della sua ricerca poetica, varia quant’altre mai, ma sempre fedele a un principio di rigore e di continua, inesausta, investigazione.

Antonio Marchetti 1997

Antonio Marchetti ritratto in occasione della sua mostra “La camera verde” (Cripta Rasponi di Ravenna, 1997)

Agli anni ravennati è legata anche la straordinaria esperienza del circolo Gramsci, nato da una sua intuizione e portato avanti per due lustri, nel corso degli anni Novanta, assieme a un gruppo di amici. Il circolo opera libero da vincoli ideologici e vede tra gli ospiti i nomi dei maggiori filosofi, intellettuali e critici d’arte di quegli anni. Terminata quell’avventura Marchetti si trasferisce a Rimini, dove inizia una nuova fase artistica e di vita.

Come artista, Marchetti non è mai stato inquadrabile in nessuna corrente, se non, genericamente, nel composito movimento del “post-moderno”. Dagli anni Ottanta in avanti egli è presente in tutte le più importanti scene dell’arte contemporanea italiana, dalle edizioni di “Fuori Uso” a Pescara, alla rassegna bolognese “Materialmente. Scultori degli anni ’80”, alle mostre sulla scultura a Volpaia organizzate da Luciano Pistoi, fino alla Biennale Arte di Venezia nel 2011. Il suo apice è raggiunto quando Renato Barilli lo chiama a far parte di quel gruppo di artisti che espone all’epocale mostra “Anni Novanta”, allestita dal 28 maggio all’8 dicembre 1991 ai Musei Comunali di Rimini e all’Ex-colonia Le Navi di Cattolica, nel cui splendido scenario futuristico-espressionista Marchetti esibisce le sue ironiche installazioni.

Egli è stato inoltre un raffinato scrittore: ricordiamo soltanto il postumo Il miracolo dell’ostia consacrata (LietoColle, 2015), nonché la serie di fulminanti articoli e saggi brevi pubblicati sul suo sito “Vario son da me stesso” e sulla rubrica “Kriptonite”, da lui curata per la rivista online Aracne, e raccolti poi da Virginia Cardi nel 2014 in un bellissimo volume dal titolo Disegno dal vero, per i tipi di Pendragon.

La mostra che si apre alla Manica Lunga della Classense il 2 settembre, per la cura di Virginia Cardi, Umberto Palestini e di chi scrive, è l’omaggio che gli deve una delle sue città più amate. Il tema non poteva che essere la città, declinata anch’essa in tutta la sua varietas, tra visioni notturne, periferie e omaggi ai suoi maestri (Aldo Rossi e Louis I. Kahn, tra i primi), a chiudere emblematicamente il cerchio di una esperienza fecondissima, iniziata appunto nel nome dell’architettura, nella sua città natale.

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