Pietro Babina porta al teatro Rasi la drammatica storia di Sole e Baleno

«La speranza è che assistendo ai mie lavori qualcuno cominci a porsi delle domande…»

PietroBabina FotoClaudiaMarini 1Rweb 700x662 1

Pietro Babina (ph. Claudia Marini)

Il teatro Rasi ospita venerdì 5, sabato 6 (ore 21) e domenica 7 aprile (ore 15.30) Sole e Baleno. Una favola anarchica, il nuovo lavoro che Pietro Babina ha realizzato, dopo una lunga gestazione, insieme ad Alberto Fiori, con il sostegno di Ravenna Te-atro, Agorà, Spazio Zut e Compagnia Umberto Orsini.

Il testo si ispira a una storia realmente accaduta in Italia negli anni novanta, quella di Sole, una giovanissima ragazza argentina, e di Baleno, un anarchico italiano. A seguito di alcuni episodi di eco-terrorismo avvenuti in Piemonte, il tribunale di Torino individua nei due giovani attivisti i capri espiatori. Accusati di essere i responsabili di atti di sabotaggio a strutture pubbliche, vennero, senza prove evidenti, imputati di associazione sovversiva e per questo soggetti alla reclusione preventiva. La separazione e la reiterazione delle accuse li gettò nella disperazione ed entrambi finirono per suicidarsi, venendo poi giudicati innocenti e riabilitati. A Babina, che torna al Rasi dopo il potentissimo Macello del 2020, abbiamo chiesto un approfondimento sul nuovo spettacolo.

Unnamed

Serena Abrami, Pietro Babina e Alberto Fiori (ph. Claudia Marini)

La genesi di Sole e Baleno è stata piuttosto lunga, quasi tre anni. Era partita da una tua personale riscrittura de L’Opera da tre soldi di Brecht, poi ha deviato sulla storia dei due anarchici. Qual è stato il percorso creativo dello spettacolo?
«L’Opera da tre soldi è sempre stata un mio pallino, ma è uno spettacolo praticamente impossibile da allestire in Italia, troppi costi, e comunque portarlo in scena in modo “classico” non mi interessava più di tanto. Comunque, siccome si erano sbloccati in teoria i diritti d’autore, in quanto sono passati i famosi settant’anni dalla morte dei due autori, Bertolt Brecht e Kurt Weill, avevamo cominciato a lavorarci focalizzandoci sulla questione musicale e cantata, che andava ad ampliare un po’ la mia direzione di ricerca sulla voce. Ma poi, dopo aver fatto ben tre residenze, è uscita una nuova legge europea che allargava i diritti a tutti coloro che avevano collaborato alla realizzazione de L’Opera da tre soldi. Ecco dunque che salta fuori Elisabeth Hauptmann (di cui io non avevo mai sentito parlare), traduttrice della Beggar’s Opera di John Gay del 1728 (dal cui adattamento Brecht ricavò la sua opera), che aveva collaborato per la messa in scena, ed essendo morta nel 1973 ha fatto sì che la possibilità di fare liberamente l’opera si sia spostata al 2046. A quel punto abbiamo contattato l’agenzia che a Berlino detiene i diritti spiegando il nostro progetto, ma non ci hanno dato il permesso di farla».
E qui entrano in gioco Sole e Baleno.
«Ci siamo ritrovati in uno stato di prostrazione, avevamo già realizzato tanto, cosa dovevamo farne di tutto il lavoro? Ecco però che, sempre con Alberto, tanti anni prima avevamo scritto un testo sulla vicenda di Sole e Baleno, una vera e propria opera con un libretto e le musiche fatte da lui. Ci è sembrato quindi naturale riprendere quel progetto, trasformarlo in teatro musicale e inserirlo nella struttura de L’Opera da tre soldi come svolgimento, come atti, quantità di scene, distribuzione della musica, creando un parallelo che ha funzionato. Perché, miracolosamente, c’erano delle affinità, tanto che un po’ la cosa mi diverte anche, in quanto l’operazione che ho fatto è in qualche modo come il nuovo adattamento che Brecht fece dell’opera dei mendicanti di John Gay; era una trascrizione e questa è una nuova trascrizione. Ovviamente la storia diverge abbastanza».
Una vicenda simbolica e quasi sempiterna.
«Sì, quel fatto era legato al movimento delle occupazioni, degli squatter, dei NoTav, soprattutto del mondo torinese, e fu emblematico di tutti quei movimenti di protesta nell’Italia degli anni ’90 a cui poi il G8 di Genova diede il colpo definitivo. Ma la storia di questi due ragazzi, che si amavano e che per colpa, diciamo così, del mondo esterno e di come funziona la società, finiscono per morire suicidi, assomiglia anche a quella di Romeo e Giulietta, ed è quindi molto interessante anche drammaturgicamente, oltre che politicamente».
Forse ancor più potente e legata al nostro contemporaneo di quanto potesse esserlo il Brecht da cui eri partito.
«Sicuramente è una questione più vicina a noi per tanti aspetti. Sulla vicenda di Sole e Baleno in passato è stato fatto un film e sono stati scritti alcuni libri, ma tutti lavori para-documentaristici, in cui erano i dati realistici la cosa importante, invece a me interessava fare un’operazione – con tutta la modestia del caso – più shakespeariana, dunque estrarre il plot, così umano e interessante, conservare il fatto che erano due anarchici, ma senza addentrarsi oltre nella realtà, anche perché la forma d’opera che abbiamo scelto non si adattava a fare un’operazione troppo documentaristica. La mia idea di fondo era di arrivare a un punto in cui certe figure devono diventare paradigmatiche e anche quasi eroiche; ti resta solo l’afflato dei due personaggi e di quello che significano, cioè una libertà giovanile, una voglia di definire un mondo che viene da un sistema di adulti e di potere che schiaccia sempre le visioni diverse delle cose. E poi c’è tutta la parte musicale: una ventina di canzoni più le partiture, che sono tutte di musica elettronica, molto contemporanea, diciamo, anche se il termine non mi piace».
A proposito di musica, nei tuoi spettacoli le partiture sono sempre parte imprescindibile della drammaturgia.
«Sì, nella drammaturgia per me tutto è musica, è un concetto esteso, ho sempre detto che per me le scene devono “suonare bene”, quindi occorre entrare in un certo tipo di mentalità: quando stai in scena, quando ti muovi e quando orchestri tutto l’allestimento, bisogna tener conto di questo tipo di logica, cioè che ci sia un’armonia, un flusso continuo, un viaggiare di tipo musicale».
Anche Macello era un lavoro a mio avviso in grado di scuotere l’anima. Affrontare certi temi come si riflette sulla sua vita, prevale l’aspetto catartico o quello della disillusione?
«Mi disillude più vivere nella realtà che nel teatro, quelli che affronto sono sicuramente percorsi esistenziali ma non nega- tivi; ho sempre lavorato su temi che sentivo urgenti. In Macello ci sono l’antispecismo e i diritti degli animali, questioni che erano diventate sempre più importanti per me e avevo bisogno di affrontare. Stare sei mesi in scena con quelle parole, quei temi, ti fa crescere enormemente, ma non ti rende cinico, è anzi un sincronizzarsi con un problema in modo molto più empatico, e questo ti dà una prospettiva diversa anche al di fuori dello spettacolo. E poi c’è anche la speranza che a qual- cuno, assistendo a lavori così, scatti qualcosa e cominci a porsi domande che prima non si poneva».

EROSANTEROS POLIS BILLBOARD 15 04 – 12 05 24
CONSAR BILLB 02 – 12 05 24
CONAD INSTAGRAM BILLB 01 01 – 31 12 24