Pochi giovani e tanti cereali Ecco l’agricoltura ravennate

Il settore primario: 117mila ettari, 7mila imprese, 13mila addetti
Manodopera straniera per il 53 percento, nel 2005 era il 33 percento

È ancora una terra di contadini ma meno rispetto al passato. I numeri dell’agricoltura, in sintesi, dicono questo a proposito della provincia di Ravenna. Un dato su tutti (fonte Istat) mette in mostra la forte penetrazione del settore primario nel nostro territorio: nel 2014 in provincia la percentuale degli occupati in agricoltura (13mila) sul totale degli occupati (167mila) sfiorava l’8 percento, più del doppio della media regionale e nazionale (3,4 e 3,6). Ma è anche vero che nel 2015 alla Camera di Commercio risulta un saldo negativo di 162 unità tra nuove iscrizioni (122) e cessazioni (284) alla voce “agricoltura silvicoltura pesca”: in totale sono attive in provincia 7.360 imprese che erano quasi novemila nel 2010 e quasi 12mila nel 2000. Un calo che in molti casi è avvenuto anche per effetto di fusioni tra aziende dato che la superficie agricola utilizzata (Sau) è rimasta sostanzialmente invariata attorno a 116mila ettari. Il valore della produzione agricola provinciale in larga misura proviene dal comparto frutticolo, viticolo, cerealicolo, zootecnico e complessivamente ammonta a circa 400 milioni di euro (dati Coldiretti).

Cosa producono i nostri campi? Il totale della superficie destinata a coltivazioni in provincia va così suddiviso (dati Istat 2014): 50mila ettari per seminativi (di cui 35mila a cereali dove comanda il grano tenero con 15mila), 36mila ha per coltivazioni legnose (di cui 20mila a frutta con oltre 9mila a pesche di cui oltre seimila nettarine) e 24mila ha per coltivazioni foraggere. Annualmente si producono circa 2,5 milioni di quintali di cereali e 4,8 milioni di quintali di frutta.

Remunerazione all’osso. «Il comparto frutticolo è fra quelli maggiormente problematici – scrive la Cia (Confederazione italiana agricoltori) nella sua Annata Agraria 2015 –. La volatilità dei prezzi è tuttora una minaccia. La remunerazione dei prodotti, in particolar modo per quanto riguarda la frutta, è sempre inferiore per i produttori». Fra i comparti problematici viene considerato anche quello dei cereali: «Le rese produttive per il 2015 per i frumenti teneri e duri sono al di sotto delle aspettative e inferiori al 2014 e così per il mais. Le quotazioni di mais e grano tenero non coprono i costi di produzione e ciò potrebbe incidere pesantemente sulle strategie di investimento degli agricoltori». In riferimento alle colture industriali, l’erba medica segna una flessione produttiva media di circa il 20 percento, sempre secondo i dati Cia. Che vede in quest’ultima coltura «una prospettiva interessante per lo sviluppo futuro e sulla quale ci sarebbe lo spazio per investire maggiormente, puntando alla qualità e alla medica in purezza». Il 2015 della barbabietola non porta particolari segnalazioni ma «si inizia a proporre anche come coltura energetica, in alternativa al mais, per i menù dei biodigestori». Le colture orticole registrano una flessione di superficie coltivata: «Fra le cause di questi decrementi produttivi anche gli andamenti climatici con eventi estremi e i prezzi dei prodotti spesso insufficienti».

I piccoli non sopravvivono. La fotografia più esaustiva del settore risale al 2010 con il censimento. Sono passati sei anni ma il confronto con lo scenario emerso nel 2000 con l’altro censimento restituisce analisi significative. Ad esempio, come sottolinea Coldiretti elaborando i numeri del sesto censimento, in provincia le aziende con meno di cinque ettari sono diminuite del 33 percento mentre quelle con più di 50 ettari sono cresciute del 30 percento. Da quel decennio emerge anche un altro dato significativo: il calo complessivo delle aziende è quasi tutto a carico delle ditte individuali (meno 28 percento) che però continuano a coltivare oltre il 50 percento della superficie agraria utile (Sau).

Donne nei campi. Del totale delle imprese per settore di attività “agricoltura silvicoltura pesca” quelle femminili (in cui la partecipazione di donne risulta complessivamente superiore al 50 percento mediando le composizioni di quote di partecipazione e cariche attribuite) sono il 16 percento: 1.233 (su un totale di 7.419 complessive femminili considerando tutti i settori). Laura Cenni conduce un allevamento di bovini di razza Romagna a Riolo Terme ed è responsabile Donne Impresa Coldiretti: «Nella loro attività le imprenditrici agricole hanno dimostrato capacità di coniugare la sfida con il mercato ed il rispetto dell’ambiente, la tutela della qualità della vita, l’attenzione al sociale, assieme alla valorizzazione dei prodotti tipici locali e della biodiversità».

Non è un mestiere per giovani. Il 33 percento degli imprenditori ha più di 70 anni. Nei primi nove mesi del 2015 le nuove imprese giovanili (in cui la partecipazione di under 35 è superiore al 50 percento) iscritte alla Camera di commercio di Ravenna sono state tredici. La percentuale dei giovani sul totale delle imprese agricole è appena il 2,6 percento. «La presenza di giovani nel settore agricolo è ancora limitata – si legge nell’Annata Agraria 2015 della Cia (Confederazione italiana agricoltori) –. I conduttori agricoli sono anziani e poco propensi ad investire e nella maggior parte dei casi manca un successore per l’impresa. Per i giovani che partono da zero, acquistare un terreno è quasi impossibile. L’investimento iniziale è stimato all’incirca intorno ai 500mila euro per 10 ettari di terreno in pianura con impianti, piante e macchinari».

Braccia straniere. Dal 2004 al 2014 la popolazione provinciale è cresciuta del 7,6 percento arrivando a 393mila, gli stranieri sul totale dei residenti sono passati dal 5,5 percento al 12 per un totale di 47mila persone. Se si guarda invece alla percentuale dei lavoratori stranieri in agricoltura si passa dal 33 percento del 2005 (4.303 su 13mila) al 53 percento del 2014 (8.067 su 15.119) con provenienza soprattutto da Romania, Albania, Polonia, Senegal, Marocco. Sono numeri tratti da un recente studio della Flai-Cgil. Osservando la fascia di popolazione in età lavorativa (15-65) si scopre che la percentuale di stranieri residenti occupati in agricoltura è il 22 percento mentre quella degli italiani è il 3,3. Il numero medio di giornate prestate da ogni lavoratore è cresciuto, dalle 85 pro-capite del 2008 alle 92 del 2014. Questi numeri cambiano in maniera considerevole se riferiti ai lavoratori italiani, che dal 2008 al 2014 sono passati da 93 giornate a 104 (+1,9% annuo), o a quelli stranieri, che sono passati dalle 75 giornate medie del 2008 alle 81 del 2014, (+1,3% annuo). «I lavoratori stranieri, pur rappresentando numericamente la parte più consistente della forza lavoro, ne costituiscano il livello meno professionalizzato, più precario e meno retribuito – commenta Raffaele Vicidomini, segretario provinciale Flai –. Emerge chiaramente, contro ogni retorica e strumentalizzazione elettorale, che questi lavoratori sono una presenza insostituibile per il settore e per l’intera economia del territorio».

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