Ecco i prezzi a Ravenna con la ripresa che non c’è

Dai dati dell’Osservatorio comunale all’inflazione Istat, la più bassa di tutta l’Emilia-Romagna. A fine 2016 eravamo ancora in deflazione

Nel gennaio del 2007 andare al ristorante a Ravenna e ordinare una pizza e una bibita costava in media 7,47 euro. Dieci anni dopo il medesimo menù richiede quasi due euro in più, che in termini percentuali significa un aumento del 25 per cento. Se poi ci si ferma al bar per un caffè si spendono 16 centesimi in più rispetto ad allora, con un incremento medio del 17,78 per cento. In mezzo, dieci anni di dinamica dei prezzi sul territorio comunale che raccontano una fase di forte aumento, una stagnazione lunga tre anni (dal 2012 al 2014) e poi di nuovo un lieve incremento che coincide con la “ripresina” che stiamo vivendo.

A raccontare questa storia è uno strumento che il Comune studiò alla fine de 2006: era l’Osservatorio dei prezzi. Serviva a tenere sotto controllo il carovita nell’ambito dell’iniziativa “Brava! Ravenna”, caduta nel dimenticatoio dal 2011, quando altri problemi hanno toccato il tessuto economico locale e nazionale. L’Osservatorio è però rimasto in piedi: le imprese aderenti continuano a fornire i dati che vengono aggiornati mensilmente e caricati sul sito.
Per la nostra analisi abbiamo selezionato quattro prodotti fondamentali: acqua, latte, pane e pasta. Uno che riguarda l’igiene intima – la carta igienica – due servizi (caffè e pizza di cui parlavamo prima) e i prezzi per muoversi tramite mezzo pubblico o in auto, analizzando il costo di benzina e gasolio.

Prendendo il primo e l’ultimo dato disponibile si ha il quadro della situazione nel decennio: cali non ce ne sono stati ma ci sono alcuni casi emblematici. Il latte, ad esempio: un litro costa appena due centesimi in più rispetto al 2007. Dato da appuntare per capire le proteste degli allevatori italiani che lamentano la difficoltà ad andare avanti con questa dinamica dei prezzi. Dall’altro lato della bilancia c’è un servizio pubblico: il biglietto urbano del bus costava 85 centesimi nel 2007 mentre oggi si compra ad 1,3 euro. Il 52,94 per cento in più. Il caro carburante ha inciso: gli aumenti sono stati deliberati nel 2012 e nel 2014, quando la corsa dei prezzi di benzina e gasolio è arrivata all’apice (1,74 e 1,69 euro medi al litro). Negli ultimi anni, però, il costo del pieno è sceso ai livelli del 2011, quando il biglietto del bus costava un euro.

Tra i generi alimentari l’aumento in termini percentuali maggiore è quello della pasta (+27,13 per cento), con pane e acqua attorno al dieci percento. Quattro rotoli di carta igienica costavano 1,36 euro, oggi quasi due, con un incremento del 46,32 per cento.
Vale la pena tornare a soffermarsi sulla tazzina di caffè al bar, spesso considerata il termometro dell’inflazione. In tanti ricorderanno le mitiche 1.600 lire che nel 2002 si trasformarono in 83 centesimi, ben presto arrotondati in 85. Tale rimase il prezzo dell’espresso fino al 2007, quando aumentò a 90 centesimi. Uno scatto in vista del rilancio nel biennio successivo, in “zona euro”. La corsa della tazzina non si è fermata con le avvisaglie di crisi e tra il 2011 e il 2013 un altro ritocchino l’ha portata in molti bar a 1,1 euro, con prezzo medio attorno a 1,08. La crisi economica ha frenato lo slancio e i nuovi locali che aprono difficilmente propongono il caffè a più di un euro, con alcune attività che l’hanno riportato anche a 90 centesimi.

I dati dell’Osservatorio hanno un valore importante dal punto di vista pragmatico, ma se si vuole un’analisi scientifica dell’inflazione in città bisogna consultare la banca dati Istat che ogni mese diffonde l’indice Nic (intera collettività) tendenziale e congiunturale. Il primo riguarda il confronto con l’anno precedente, il secondo indica la variazione mensile dei prezzi. Ravenna a febbraio del 2017 ha conosciuto un aumento dello 0,1 per cento rispetto a gennaio e dello 0,3 annuo (al netto dei tabacchi). Quest’ultimo dato è il più basso dell’intera regione, pari soltanto a quello di Reggio Emilia. Nelle altre città la ripresa inflattiva è stata più forte: a Rimini dell’1,1 per cento, a Forlì-Cesena dello 0,5 per cento. A livello regionale l’inflazione più alta è a Ferrara (1,3 per cento) con il capoluogo Bologna a 0,6 per cento. Tra le voci del paniere ancora in calo i servizi ricettivi e di ristorazione (-1,2 per cento). Aumenta il peso del carrello della spesa ma ancora di poco: appena lo 0,7 per cento mentre in tutte le altre città (Reggio a parte) la crescita è stata superiore all’1 per cento, con picchi a Ferrara (3,5) e Forlì-Cesena (2,5). La scarsa inflazione indica una ripresa che ancora fatica a radicarsi in una città, Ravenna, che storicamente aveva il prezzo della vita tra i più alti in Italia. Eppure alla fine del 2016 era l’unica città capoluogo di dimensione superiore ai 150mila abitanti ad essere ancora in deflazione.

Per gli economisti, l’inflazione sana è attorno al due per cento, che a Ravenna si toccava senza difficoltà una decina di anni fa. L’indice correva anche troppo, arrivando al 4 per cento nell’estate del 2011. Tanto che, presentando l’Osservatorio dei prezzi, il Comune ricordava la “fase positiva di sviluppo” che si stava vivendo nel 2006 con il problema di un territorio che stava avvertendo “gli effetti dell’ascesa costante del carovita”. Parole di un’altra era, a leggerle oggi.

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