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«Gli ostacoli alla ripresa post-virus saranno debito pubblico e burocrazia»

L’analisi dell’economista ravennate Sergio Lugaresi: «Il Covid-19 sta agendo su tre binari: il commercio mondiale, il clima di fiducia di famiglie e imprese, gli effetti delle misure di contenimento su domanda e offerta»

Ravennate, classe 1957, laureato in Economia all’ Università di Modena, con dottorati di ricerca all’Università di Bologna, Washington University Saint Louis e Stockholm University, Sergio Lugaresi ha alle spalle una lunga carriera da economista come ricercatore Ispe, economist di International Monetary Fund, dirigente di ricerca Istat, chief economist di Banca di Roma, chief economist di Capitalia, senior vice president di Unicredit, fellow di Centro studi Luca D’Agliano. Fra gli attuali incarichi vannop segnalati: consulente di Abi e European Bank Authority, senior advisor di Oxera Consulting LLP e consigliere di amministrazione IGD spa.

L’economista Sergio Lugaresi

Quale saranno gli effetti economici della pandemia? Alcuni economisti hanno studiato cosa successe nel 1918-19 in occasione della famosa influenza “spagnola” (in realtà non originò in Spagna: un bellissimo libro che la racconta è 1918. L’influenza spagnola: La pandemia che cambiò il mondo, di Laura Spinney, Marsilio).
La spagnola colpì in varie ondate e fece tra i 40 e 100 milioni di morti in tutto il mondo. In molti paesi furono prese misure di contenimento simili a quelle che hanno preso in queste settimane l’Italia e poi via via molti altri governi. Purtroppo, però, a quel tempo le statistiche economiche non erano così sviluppate come oggi, sicché l’impatto si può ricavare solo da articoli di giornali dell’epoca e altri archivi disponibili, come quelli amministrativi o delle associazioni caritatevoli. Sia per la scarsa disponibilità di dati economici, sia perché in effetti il numero di vittime fu ingente, l’attenzione si è soffermata soprattutto sull’impatto che l’aumento della mortalità ebbe sulla forza lavoro.

Negli Usa l’impatto fu un aumento temporaneo dei salari. Inoltre, solo negli ultimi decenni si è potuto studiare l’impatto che quella epidemia ebbe sui bambini messi al mondo quell’anno da madri contagiate. L’impatto per queste persone fu in media un aumento delle disabilità fisiche e una diminuzione delle capacità cognitive e quindi un reddito nell’acro della vita inferiore alla media.
Tuttavia, questi effetti è improbabile si ripresentino con il Coronavirus, Infatti la Spagnola aveva caratteristiche molto diverse: 1) intanto scoppiò in un momento molto particolare: la fine della prima Guerra Mondiale, che aveva ridotto temporaneamente la forza lavoro attraverso la coscrizione e permanentemente a causa delle numerose vittime militari e in Europa anche civili; 2) le conoscenze e le tecnologie mediche a disposizione erano assai inferiori a quelle attuali; 3) la Spagnola colpì soprattutto la popolazione nella fascia d’età tra i 18 e 40 anni, mentre il Coronavirus, come sappiamo, colpisce soprattutto nella fascia di età sopra i 70 anni.

Forse più interessante il caso svedese, studiato da altri economisti: la Svezia infatti, durante la Prima Guerra Mondiale, rimase neutrale e non partecipò al conflitto: inoltre, la Svezia aveva già da alcuni decenni un Ufficio Nazionale di Statistica, anche se allora si rilevava il patrimonio (lo stock) ma non il reddito (il flusso annuale).
L’impatto della Spagnola in Svezia fu di aumentare la povertà nel medio periodo e ridurre immediatamente ma permanentemente i redditi da proprietà, ma non ebbe un impatto significativo sui redditi da lavoro, anche se le regioni più colpite soffrirono di più anche in termini di crescita economica.

Il Coronavirus sta agendo economicamente su tre binari che al tempo della Spagnola erano meno importanti o comunque non rilevati: 1) il commercio mondiale; 2) il clima di fiducia di famiglie e imprese; 3) gli effetti delle misure di contenimento sull’offerta e sulla domanda.

Il primo effetto del Coronavirus, manifestatosi inizialmente (e reso noto in ritardo) in Cina con l’isolamento del paese e le restrizioni di viaggio, fu l’inceppamento delle cosiddette “catene del valore”, ossia della fornitura di beni intermedi prodotti in Cina e forniti alle industrie manifatturiere del resto del Mondo: uno shock di offerta. Con il diffondersi delle immagini della gravità dell’epidemia in Cina e il primo manifestarsi del Virus in altri paesi l’impatto si è via via esteso sul clima di fiducia di famiglie e imprese: uno shock sulla domanda (investimenti e propensione al consumo).

Poi via via l’impatto maggiore è venuto dalle misure prese dai governi per contenere il contagio ed evitare il collasso del sistema sanitario nazionale. In un crescendo: proibizione di assembramenti, chiusura delle zone focolaio, chiusura dei luoghi pubblici (ristoranti, teatri, musei ecc.), lavoro a domicilio, quarantene, isolamento, proibizione degli spostamenti al di fuori del proprio comune, chiusura delle attività non essenziali. È uno shock sia sull’offerta che sulla domanda.

Ora l’incertezza maggiore riguarda la durata di e quali misure di contenimento del contagio. I problemi da risolvere sono due: un allentamento troppo repentino potrebbe riportare al riaccendersi di focolai di infezione, soprattutto di fronte all’evidente asincronia dell’infezione pandemica (è quello che successe a Denver all’inizio del 1919).
Il secondo è che finché non sarà disponibile l’antivirus (ossia testato e prodotto in quantità massicce) sono probabili varie ondate di diffusione, come successe con la Spagnola. Un autorevole studio dell’Imperial College, che ha determinato l’abbandono della rischiosa strategia di “immunizzazione di gregge” del governo britannico, stima che l’antivirus non possa essere disponibile prima di 12-18 mesi. Lo studio di Imperial ipotizza che isolamento dei casi e quarantene volontarie rimangano in vigore per tutto il periodo, ma che a seconda dell’andamento dei ricoveri attesi siano ripristinate a intermittenza le misure di distanziamento sociale e la chiusura di scuole e università.

Quale può essere l’impatto immediato di un tale scenario sul Pil italiano? È possibile farsene un’idea con una semplice e approssimativa simulazione sul Pil disaggregato per attività economica, facendo assunzioni sul grado di utilizzo della capacità produttiva di ogni settore (0 totale chiusura, 100 attività come nel 2019) nei mesi di misure più drastiche. Sulla base di evidenza aneddotica e giornalistica ho assunto il grado di capacità produttiva utilizzata in tali mesi variare dal 10% per alberghi e ristoranti, al 50% per industria, al 90% per energia e trasporti e magazzinaggio, le forniture di acqua e il trattamento dei rifiuti, mentre ho assunto invariata l’offerta di agricoltura, telecomunicazioni, finanza e i salari della pubblica amministrazione (che costituiscono il suo valore aggiunto, ossia il suo contributo al Pil).
Se i mesi di misure drastiche fossero 5 (3+1+1) nel 2020, come ipotizzato dallo studio di Imperial College, lo shock negativo sull’offerta sarebbe intorno al 15%. Sono calcoli approssimativi basati su ipotesi imprecise, ma danno una idea della dimensione dell’impatto.

Purtroppo, non è finita qui. Infatti, allo shock sull’offerta va aggiunto lo shock negativo sulla domanda. L’incertezza sul futuro, i timori di dover affrontare tempi duri, le restrizioni alla mobilità, la dimensione globale dell’emergenza e la chiusura dei confini determinano una riduzione degli investimenti, delle esportazioni e della propensione al consumo. Le misure esistenti per affrontare l’emergenza sanitaria (aumento della spesa sanitaria) e gli ammortizzatori sociali (cassa integrazione, reddito di cittadinanza, sussidio di disoccupazione) compensano solo parzialmente tale shock di domanda.

Nel grafico (sopra), lo shock negativo di offerta è rappresentato dallo spostamento della curva di offerta da S a S1. A tale spostamento, a parità di domanda, corrisponde un livello di prodotto (il Pil) Q azzurro inferiore a Q nero. Lo spostamento della curva di domanda da D a D1 rappresenta lo shock negativo di domanda. L’equilibrio economico passa da B a C cui corrisponde un livello di prodotto Q rosso, inferiore a Q blu.

Tuttavia, lo scenario dell’Imperial College è pessimistico. Infatti, l’armamentario di misure e strumenti di contenimento della pandemia si sta arricchendo (test intensivi, misurazione di massa della temperatura, tracciamento dei casi) e non sembra necessaria un’alternanza di misure drastiche e lievi. Una volta finita l’emergenza, le misure più drastiche ed economicamente costose potranno essere gradualmente rimosse per essere reintrodotte localmente nel caso di recrudescenza della pandemia.
Nel frattempo, tali misure permetteranno di guadagnare tempo, mentre viene potenziato il sistema sanitario, progredisce la ricerca scientifica sul virus a vengono testati nuovi farmaci. L’immunizzazione di massa, soprattutto dei giovani, spesso portatori sani, dovrebbe aumentare, anche se non vi sono garanzie per ora che possa reggere a mutazioni importanti del virus. Infine, molte imprese stanno reagendo sperimentando nuovi metodi di organizzazione del lavoro, nuove tecnologie o riconvertendo la propria attività.

È perciò ipotizzabile che lo shock di offerta sia minore di quanto abbiamo sopra stimato. Ipotizziamo per esempio che la riduzione temporanea della capacità produttiva duri solo tre mesi (2 più l’alternarsi di varie misure equivalenti a 1 mese di misure drastiche): in questo caso lo shock negativo di offerta potrebbe essere intorno al 9% del PIL.

Ma cosa bisogna aspettarsi nel medio periodo, oltre il 2020-21?
Se gli shock di domanda e offerta fossero puramente temporanei e così i loro effetti, la curva d’offerta potrebbe tornare alla sua posizione iniziale (S) o anche spostata più a destra, poiché la capacità produttiva di alcuni settori sta aumentando (aspiratori, maschere ecc.); anche la curva di domanda potrebbe tornare al suo livello iniziale o anche oltre a sinistra, poiché imprese e famiglie potrebbero recuperare spese che hanno rinviato a causa dell’emergenza.
Questo però è uno scenario ottimistico, che potrebbe avverarsi solo nel caso in cui nessuna impresa fallisce a causa della sospensione delle attività e che nessun lavoratore o lavoratrice diventi disoccupato. I fallimenti di imprese e l’impoverimento delle famiglie metterebbe a dura prova il sistema finanziario.
Le banche centrali e i governi nazionali, incluso il governo italiano, hanno già adottato ingenti misure economiche, monetarie e di vigilanza bancaria a sostegno della liquidità e dei redditi. Le banche hanno annunciato una moratoria sui pagamenti di quest’anno.
Per ora l’intervento italiano non è inferiore a quello di altri paesi: a parità di metriche (cioè includendo le garanzie pubbliche e i crediti attivati), le misure prese dal governo italiano equivalgono al 18% del Pil, superiori a quelli del meno indebitato governo tedesco (15% del Pil).

Ma altri interventi saranno necessari. Tali interventi possono incontrare due ostacoli; 1) l’elevato debito pubblico; 2) la burocrazia. In Europa ora la discussione verte su se e come rimuovere gli ostacoli dell’elevato debito pubblico di alcuni paesi. L’intralcio della burocrazia è competenza dei governi nazionali. Come e in che misura tali ostacoli verranno rimossi determinerà gli effetti di lungo periodo della pandemia e l’intensità della ripresa post-virus.