L’unica gruista del porto (e d’Italia): «Quando sono lassù dimentico ogni problema»

Angela Rubino, assunta alla Sapir, rappresenta ancora un’eccezione: «È un lavoro alla portata di tutti. A volte ci sono state battute maschiliste, ma i miei colleghi si sono sempre dimostrati attenti e protettivi»

Angela Rubino gru Sapir gruistaPer quanto parlare di lavori “da uomo” o “da donna” nel 2024 sia anacronistico e ingiustificato, alcune sfere lavorative sembrano restare ancora oggi ad appannaggio principalmente maschile e l’ambito portuale rientra sicuramente tra queste.

Nel porto di Ravenna, uno dei maggiori a livello nazionale, lavora in banchina di fatto una sola donna, Angela Rubino, prima gruista del versante portuale adriatico e unica in Italia nel campo delle rinfuse secche, come sottolinea anche l’assessora allo sviluppo economico Annagiulia Randi in un post sui social.

Da un anno e mezzo Rubino lavora per il gruppo Sapir, azienda che ha deciso di investire sulle politiche di parità di genere, ottenendo certificazioni europee e impegnandosi nel raggiungimento annuale di Kpi (Key Performance Indicators) aziendali riguardanti la conciliazione di lavoro e vita privata, la segnalazione di molestie e mobbing e l’aumento dell’impiego femminile. A oggi, su 140 dipendenti Sapir, 29 sono donne: «Si tratta di circa il 20 percento dell’organico aziendale. Una percentuale che può sembrare bassa, ma in ambito portuale non è così», precisa Sara Luciani, responsabile salute e sicurezza. Sebbene sia abbastanza diffuso l’impiego femminile negli uffici amministrativi dei terminal portuali, non vale lo stesso per gli uffici operativi e tra i manovali. La prima certificazione di Sapir è arrivata l’anno scorso, proprio con l’assunzione di Rubino sul piazzale operativo.

Angela Rubino gru Sapir gruistaAngela, cosa l’ha spinta a diventare gruista?
«È stata una decisione presa quasi per gioco. Sono cresciuta in Germania e mi sono trasferita a Ravenna nel 2006. Qui ho iniziato a sperimentare lavori di diverso tipo, senza trovarne uno che riuscisse a soddisfarmi. Un’amica mi ha proposto scherzosamente l’impiego da gruista. Questo ambiente mi è sempre piaciuto, venivo anche da esperienze in magazzino, altro ambito tipicamente maschile, ma l’esperienza al terminal è impagabile. Una volta impostavo cinque sveglie per andare a lavorare, oggi mi basta il primo “trillo” per alzarmi felice di iniziare una nuova giornata come gruista».

Che tipo di formazione è richiesta per questo tipo di lavoro?
«Ho avuto la fortuna di entrare in Sapir nel periodo di lancio dell’Academy, un percorso di formazione pensato per formare 10 operai polifunzionali specializzati, selezionati dopo un’attenta analisi. Oltre al colloquio infatti si viene sottoposti a una serie di test attitudinali e, dopo un periodo di circa 6 mesi in magazzino, si inizia la vera e propria formazione da gruista con i colleghi. La prima volta che sono salita sulla gru mi è sembrato di volare».

Ha mai riscontrato delle difficoltà muovendosi in un ambito tanto maschile? Episodi di misoginia o discriminazione?
«Nulla che mi abbia mai messo a disagio. All’inizio c’era un po’ di stupore, questo sì. Qualcuno mi chiedeva cosa ci facevo sul piazzale e perché non andassi a fare i cappelletti: a questi ho sempre risposto che quando sono a casa i cappelletti li faccio, ma nel frattempo guido la gru e anche il muletto. Si ride e si scherza senza superare mai il limite, gli stereotipi ci sono ma diventano terreno di gioco: se un collega mi dice che “non so guidare” in quanto donna, io rispondo che gli uomini non sono in grado di fare due cose contemporaneamente, e per guidare una gru devi farne tre. Siamo molto uniti e i colleghi si sono sempre dimostrati attenti e protettivi nei miei confronti, se qualche camionista di passaggio alza la voce, arrivano come un esercito in mia difesa».

Perchè, secondo lei, la percentuale di impiego femminile in questi ambiti è ancora così bassa?
«Credo che molte donne non sappiano nemmeno di poterlo fare. Un tempo quello portuale era un lavoro di fatica fisica, i colleghi più anziani mi raccontano dei tempi in cui i sacchi si caricavano in spalla. Oggi la tecnologia agevola le azioni manuali, rendendo il lavoro alla portata di tutti. Vorrei dire alle donne di trovare la loro strada, anche se a volte non è quella che si aspettano. Io qui ho scoperto una passione che prima non conoscevo e che mi fa stare bene. Quando sono su una gru, dimentico ogni altro pensiero. In ambito lavorativo noi donne abbiamo la metà delle opportunità e dobbiamo impegnarci il doppio e sicuramente per lavorare al porto serve carattere, ma io sono felice. È un lavoro che permette scatti di carriera e che valuterà molte nuove assunzioni nei prossimi anni, per via dell’ampliamento del porto, consiglierei a chiunque di farsi avanti!».

E la sua famiglia come l’ha presa?
«I miei genitori inizialmente avevano qualche dubbio, essendo di un’altra generazione, ma poi mi hanno supportato; mio marito è orgoglioso e i miei figli sono incuriositi da questo mondo. Aggiungo inoltre che, contrariamente a quel che si pensa, non ho mai dovuto rinunciare alla mia femminilità per fare questo lavoro, e anche se il porto non è certo pulitissimo o aesthetic, vi assicuro che dall’alto della gru si vedono tramonti spettacolari».

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