Quando in Campidoglio giravano i Buzzi e nessuno firmava mozioni di sfiducia

Se il Pd avesse impiegato contro Alemanno un decimo dell’energia
che ha usato contro Marino forse Mafia Capitale non sarebbe esistita

12 ottobre: Ignazio Marino si dimette da sindaco di Roma. 29 ottobre: Ignazio Marino ci ripensa, non si dimette più. 30 ottobre: 26 consiglieri del Comune, 19 del Pd, si dimettono. Marino, lasciato solo come un cane, ci riripensa, si ridimette. Renzi nomina un commissario per Roma, l’ex prefetto di Milano Francesco Paolo Tronca, e destina a Roma 500 milioni per il Giubileo (prima non c’era una lira). Tronca come prima cosa si mette la fascia tricolore al petto, va ad incontrare il Papa e gli bacia la mano. Il Papa sorride. Renzi sorride. Io, ingoio 41 pasticche di Plasil antiemetico.

Renzi gongola: «Si è conclusa la telenovela dell’amministrazione comunale di Roma. Chi fallisce la prova dell’amministrazione si rifugia nel presunto complotto. Non mi riferisco solo a Marino». Marino s’arrabbia: «È del tutto evidente che Renzi mi attacca e offende sul piano personale per coprire con la “damnatio memoriae” una spregiudicata operazione di killeraggio che ha fatto esultare i tanti potentati che vogliono rimettere le mani sulla città. Occorre invece ristabilire la verità: Renzi voleva Roma sotto il suo diretto controllo e se l’è presa, utilizzando il suo doppio ruolo: come segretario del partito ha voluto che i 19 consiglieri del Pd si dimettessero, come Presidente del Consiglio ha sostituito il sindaco, legittimamente eletto, con un prefetto, certamente persona degnissima, che farà capo come dice la legge allo stesso presidente del Consiglio. Assistiamo a una pericolosa bulimia da potere, che elimina gli anticorpi democratici. Il messaggio è chiaro: chi non si allinea, chi non ripete a pappagallo i suoi slogan viene allontanato o addirittura bandito».

Sì, Marino è un marziano, un narciso poco capace. Ma chi ce l’ha messo lì? Il Pd. E perché il Pd non si decide a dire la verità, la pura, semplice, verità? Cioè che quando erano sindaci Rutelli e poi Veltroni, i palazzinari di destra e di sinistra, padroni dei giornali, erano contenti, Roma si riempiva di cemento, i giornali dicevano va tutto bene, il Vaticano era contento, la destra restava muta, ma alla fine non c’era più un romano disposto a votarlo, il Pd. Tanto che nel 2008 l’inguardabile fascista Gianni Alemanno sconfisse al ballottaggio l’eterno Rutelli (un altro non c’era?), e poi varò una giunta che rubò, nominò amici, parenti ed ex-picchiatori neri, così l’Atac, per dire, accumulò 1,7 miliardi di debiti. Però i palazzinari di destra e di sinistra, padroni dei giornali, erano contenti, Roma si riempiva di cemento, i giornali dicevano va tutto bene, il Vaticano era contento, e la sinistra restava muta. Poi Massimo D’Alema decise di candidare sindaco un suo protetto, Ignazio Marino, un chirurgo che lavorava in Usa e che non era pollo di batteria del Pd. Nelle primarie Marino sconfisse Gentiloni, uno della vecchia guardia che non convinceva nessuno, e poi divenne sindaco. Perché il Pd candidò uno “di fuori” come Marino? Proprio perché sapevano che serviva una bella faccia pulita, dato che nessuno del Pd aveva combattuto sul serio Alemanno durante i suoi cinque anni di governo, quando la città veniva consegnata ogni giorno alla criminalità, quando in Campidoglio si aggiravano, e tutti vedevano, i Mockbel, i Buzzi e i Carminati. Nessuno del Pd allora firmò una mozione di sfiducia contro Alemanno, invece oggi il Pd fa dimettere Marino. Volete dirci perché? Se il Pd avesse impiegato contro Alemanno un decimo dell’energia che ha usato contro Marino forse Mafia Capitale non sarebbe esistita. C’era Veltroni e la destra non faceva opposizione, c’era Alemanno e la sinistra non faceva opposizione. Appena qualcuno gli ha rotto il meccanismo è venuto giù il mondo. Secondo i sondaggi, oggi a Roma il Pd è al 10 per cento. Tutta colpa di Marino?

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