«Diritto di critica e non diffamazione» Il Centro islamico non avrà i 50mila euro di danni e dovrà pagare le spese di lite alla Life

Due querele penali archiviate e ora la sentenza civile sul caso nato dalle denunce dell’associazione femminista che nel 2012 chiedeva maggiore trasparenza, una gestione partecipata e equità di genere nella gestione della moschea

Fu legittimo diritto di critica e non diffamazione. Così ha deciso il tribunale di Ravenna che ha respinto la richiesta danni da 50mila euro fatta dal Centro di cultura e studi islamici di Romagna (Ccsir) e del suo presidente Ahmed Basel, che gestiscono la moschea di Ravenna, nei confronti dell’associazione Life e della sua presidente Marisa Iannucci che aveva lamentato una presunta mancanza di trasparenza e irregolarità nel governo del luogo di culto costruito alle Bassette. Il giudice ha stabilito il risarcimento delle spese di lite (7.200 euro).

La sentenza del tribunale civile è arrivata dopo due querele penali archiviate. La vicenda nasce nel dicembre 2012 quando in una conferenza stampa la Life e il comitato una Moschea per la città chiedevano maggiore trasparenza, una gestione partecipata e equità di genere nella gestione della moschea, e denunciavano gravi violazioni statutarie – mancata redazione dei bilanci, mancata convocazione dell’assemblea e rielezione delle cariche – da parte del direttivo scaduto.

La sentenza ha stabilito che Iannucci, difesa dall’avvocato Gianluca Alni, esercitò il diritto di critica garantito dall’articolo 21 della nostra Costituzione e dall’articolo 10 della Cedu e che le sue affermazioni avevano un fondamento su documenti.

«C’è grande soddisfazione per un esito sul quale non abbiamo mai avuto dubbi, e l’orgoglio di avere affrontato una battaglia amara ma importante per la crescita della nostra comunità – commenta Iannucci –. A Ravenna è accaduto qualcosa di inedito: un gruppo di donne musulmane ha preso la parola pubblica e ha chiesto nient’altro che la garanzia del rispetto delle regole di questo Paese, per la costruzione di una delle più grandi moschee d’Italia. In città solo poche voci, limitate all’associazionismo e a pochi singoli, hanno speso energie e parole per difendere le nostre posizioni. A loro va tutta la nostra gratitudine per il sostegno morale datoci in questi anni e l’impegno per una soluzione costruttiva del conflitto, che purtroppo non si è potuta attuare».

Sulla vicenda è arrivato il commento anche di Alberto Ancarani, capogruppo di Forza Italia in consiglio comunale: «La sentenza getta una luce ancora più inquietante, di questi tempi, su chi “ci siamo messi in casa” e su quante bugie, pur di apparire “aperta e inclusiva” ci abbia raccontato l’amministrazione Matteucci sulla comunità islamica e sulla moschea delle Bassette. Per l’8 marzo l’appello più importante che dovrebbe mandare alla stampa il mondo femminista militante dovrebbe essere un ultimatum al mondo islamico sulle proprie enormi lacune nei confronti della condizione femminile. Non farlo confermerebbe che da quelle parti, a prevalere è solo la disonestà intellettuale».

Non si discosta molto la posizione di Ravenna in Comune: «Come mai la giunta Matteucci ha ritenuto interlocutori credibili persone che non erano legittimate a rappresentare la comunità musulmana? Come mai nulla è stato fatto dall’amministrazione Matteucci per accertare se erano vere le accuse di discriminazione nei confronti delle donne e nei confronti dei molti che la pensavano in modo difforme da coloro che arbitrariamente si ritenevano i portavoce della comunità islamica ravennate? La realtà è che si è voluto dare forza e credibilità ad organi dirigenti che non erano legittimati. Non ci stupiamo più di tanto. Matteucci è il sindaco che ha accentrato sicurezza e immigrazione nelle mani di un solo assessore. Un messaggio chiaro, da vero sceriffo, un messaggio che ha voluto premiare i poteri forti anche illegittimamente costituiti e che non va certo nella direzione di una società interculturale laica e rispettosa delle altrui diversità».

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