Lina Taddei, l’avvocato ravennate nella Sicilia degli sbarchi

«Assistere a un approdo di migranti è un’esperienza toccante e sconvolgente. Nei loro sguardi c’è speranza ma anche paura».

Sbarchi immigrati SiciliaL’avvocato Lina Taddei, responsabile provinciale Immigrazione per il Partito Democratico a Ravenna, ha collaborato con il fotoreporter Giampiero Corelli nel suo lavoro “Dante esule“ seguendo con lui lo sbarco di una nave di migranti al porto di Augusta in Sicilia…
Come mai ha deciso di collaborare con questo progetto?
«Credo sia molto importante continuare a sensibilizzare le istituzioni su questo tema. Le sofferenze e gli imprevisti della vita di Dante, nel periodo del suo esilio, hanno molto da insegnare, se visti in un’ottica contemporanea».

Come avete fatto per seguire lo sbarco di una nave di migranti?
«Siamo stati in Sicilia dal 29 al 31 luglio. Quando siamo arrivati però ci avevano detto che non sarebbe stato possibile assistere a uno sbarco perché, in teoria, non sarebbero dovute arrivare navi in quei giorni. Invece, all’improvviso, ne sono state avvistate due. Noi ci siamo recati subito al porto di Augusta, vicino a Catania. Ormai molte navi non le fanno più attraccare a Lampedusa, ma appunto a Catania, Messina, Palermo oppure in questo piccolo porto».

Come avviene uno sbarco?
«La procedura di prima accoglienza è durata una mattinata intera dalle 9 alle 14. Visto che ci sono di mezzo competenze diverse sono presenti uomini del Ministero della Salute, del Comitato per i rifugiati, di Save the Children e di Medici senza Frontiere. L’assistenza nella primissima accoglienza mi è parsa dignitosa. Abbiamo scoperto che a bordo c’erano 524 persone, tutti eritrei. Tutti, miracolosamente, sani e salvi. La stessa mattina a Messina ne erano arrivati altri, di cui però 14 erano già deceduti».

La prima accoglienza è quindi ben organizzata?
«Sì, a quanto ho potuto vedere. È gestita da militari, vengono fatti scendere prima le donne e i bambini, poi gli uomini. Tutti in fila indiana. Vedere questa massa di persone che si guardano attorno confuse e stordite è molto impressionante. Erano sotto al sole in mezzo al mare da tre o quattro giorni…».


Taddei KyengeCome è cambiata la sua percezione del problema degli sbarchi dopo averlo visto con i suoi occhi?
«Sono dieci anni che mi occupo di immigrazione e del tema dei rifugiati, ma non avevo mai assistito a uno sbarco. È stata una esperienza molto toccante. Nelle immagini della televisione non si può capire. Guardare negli occhi queste persone e vedere il loro sguardo perso… Vorresti dargli una speranza, ma ti senti inibito, impotente. Le speranze di quando sono partiti sono già svanite quando scendono da quella nave. L’arrivo per loro diventa un nuovo viaggio, più duro ancora della attraversata».

Siete riusciti ad entrare anche in un centro di accoglienza, lì come è la situazione?
«Non è facile ottenere le autorizzazioni per accedere ai centri di accoglienza. Siamo riusciti però ad ottenerlo per il Cara di Mineo, uno dei più tristemente famosi perché entrato nelle inchieste sugli appalti. Lì “vivono” 3200 persone».

Come è la situazione in quel centro accoglienza?
«Purtroppo il tema più critico è quello dei tempi delle procedure. Ci sono persone che sono lì anche da due anni e non sanno se e quando potranno andarsene… Se non viene riconosciuta nessuna forma di protezione la persona diventa irregolare a tutti gli effetti. Dopo che il Cara di Mineo è stato al centro delle indagini il clima non è certo dei migliori. Si trova in una zona isolata della Sicilia. La zona di Mineo è una conca, una ex-base militare statunitense. Chi entra al Cara di Mineo entra in una sorta di limbo».

Crede che la visione che si ha di questo problema sia distorta?
«Se si vuole capire cosa sta succedendo si deve comprendere che si tratta di un esodo epocale. Si può cercare di gestire al meglio, ma è solo in Libia che si può risolvere la questione».

Come vivevano lo sbarco di così tante persone gli abitanti del luogo?
«Il malessere dei territori a livello locale è alto, va tenuto presente, ed è diffuso in tutta Italia. L’intolleranza aumenta e prende piede pericolosamente, ma devo dire che in Sicilia ho conosciuto davvero molte persone aperte e disposte ad aiutare».

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