Isis: tracce di un collegamento tra Ravenna, Milano e la Germania

Dalla scorsa estate ci sono movimenti e incontri sospetti

Le fucine dei nuovi figli dello Stato Islamico, pronti a morire per un’idea deviata di vendetta, trovano spazio non solo nelle degradate periferie delle metropoli, ma anche – o forse soprattutto – nelle tranquille cittadine di provincia. I reclutatori girano per l’Italia mostrando sul cellulare le foto dei bambini squarciati dalle bombe occidentali ad Aleppo. Chi li vendicherà a costo della propria vita avrà il paradiso eterno.

Ravenna è un terreno fertile per seminare queste menzogne. Sono molti i ragazzi tunisini allontanati dalla comunità perché spacciavano o alzavano troppo il gomito. Bastano un paio di mesi per trasformare un cane sciolto, demotivato e senza soldi, in un potenziale martire dell’Isis. Lo sapevano bene coloro che hanno arruolato dodoci tunisini di Ravenna a partire per combattere in Siria nel 2012. Lo sanno anche quelli venuti dopo di loro.

Dall’estate scorsa ci sono movimenti sospetti tra Ra­venna, Milano e alcune città della Germania. Continui viaggi e incontri clandestini. Molte parole pesanti, ma non si sapeva fino a che punto fossero disposti a spingersi. Ora, dopo il 19 dicembre e l’attentato di Berlino, le maglie delle indagini hanno condotto a Milano e Sesto chiudendo il cerchio. Gli attentati sono sempre pianificati in un altro Paese per approfittare delle difficoltà di collaborazione a livello internazionale delle forze di polizia. Così colpiscono la Francia dal Belgio, la Germania dall’Italia. Se dovessero colpire l’Italia sarebbero i Balcani il punto di partenza. Lo dicono persone informate su questi movimenti, che rischiano molto per sgominare questa rete invisibile di terrore.

I potenziali futuri martiri sono una manciata di volti nella foltissima comunità tunisina ravennate, che giustamente prende le distanze da questi pochi, pericolosi individui. Marouan Mathlouthi, espulso  per ragioni di sicurezza nazionale il 5 gennaio, era uno di loro. Scriveva su Facebook «sono indeciso se fare il bravo o fare una strage». Un pesce piccolo, che però può servire da esempio come deterrente per i compagni, un po’ come è accaduto nell’aprile 2015 con l’arresto di Nouassir Louati, con precedenti per spaccio e un lavoro precario da cameriere a Cervia, anche lui fermato con un biglietto per la Germania in tasca. Louati è stato appena condannato a tre anni e mezzo di carcere e al giudice, nel dichiararsi pentito, ha raccontato di aver subito un «lavaggio del cervello».

Le forze dell’ordine sono sulle loro tracce da tempo, ma non è semplice trovare le prove necessarie per incastrarli. Soprattutto i pesci grossi: i reclutatori, che non sono così sprovveduti da postare frasi inneggianti all’Isis su Face­book, ma sono persone colte, istruite e spesso insospettabili. Come lo era Roberto Cerantonio, origi­­nario della Calabria, passaporto australiano, che si faceva chiamare Musa. Passato da Ravenna per tenere comizi sulla “pace tra religioni”, ma che in realtà era uno dei più efferati reclutatori dell’Isis arrestato mesi dopo nelle Filippine. In comune tra loro hanno la possibilità di ottenere facilmente soldi contanti grazie ai contatti con gruppi sauditi o degli emirati.

Molti si chiedono se la presenza della seconda moschea più grande d’Italia abbia una relazione con questi reclutatori. E con il fatto che Ravenna è ormai nota alle cronache nazionale come la “capitale” dei cosiddetti foreign fighters, visto che da qui ne sono partiti circa un 10 percento del totale. Cerantonio fu invitato dal Centro di cultura e studi islamici della Romagna della moschea di Ravenna, che però ha sempre detto di non sapere chi fosse in realtà quell’uomo che si presentava come islamologo. Come per altro non sapevano chi fosse le altre personalità che parteciparono al convegno, come l’allora assessore Martina Monti.
La situazione è insomma molto complessa, e bisogna stare attenti a trarre conclusioni affrettate.

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