Nonno Beha spiega “la giungla” alle nuove generazioni

Nell’ultimo libro il giornalista si rivolge al nipote: «Un bilancio su cosa lasciamo». Presentazione a Ravenna e Lugo mercoledì 1 febbraio

Oliviero BehaEssere nonni è una delle esperienze che fa più riflettere le persone sul proprio passato e sul significato delle cose che lo circondano. Oliviero Beha ha deciso di dedicare a suo nipote le sue riflessioni sull’oggi e sul domani. Giornalista che si è occupato molto di società e di sport è tra i fondatori de “Il Fatto Quotidiano“. Beha sarà a Ravenna l’1 febbraio alle 18.30 a Palazzo Rasponi per presentare Mio nipote nella giungla (Chiarelettere) per la rassegna “Il Tempo Ritrovato”. Alle 21 invece a Lugo all’albergo Ala d’Oro per la rassegna “Caffè Letterario”.

Che cos’è per lei la “giungla” di oggi?
«Ci sono due giungle, una interiore e una esteriore, che si influenzano a vicenda. Quella esteriore è una società in cui si vive per il denaro. Un “fondamentalismo finanziario” finalizzato ad arricchirsi che altera tutti i rapporti umani. La giungla interiore è invece una mancanza di identità delle persone tipica della nostra epoca».

Come mai ha deciso di trattare questo argomento rivolgendosi a suo nipote?
«Parlo di questo argomento da molto tempo, il nipote ha girato in me un interruttore in termini di empatia. Vedere un bambino alla mia età, dopo trenta anni da quando ho messo al mondo i miei figli, mi ha costretto a fare i conti con il tempo e fare bilanci su cosa lasciamo a chi nasce ora».

Cosa è cambiato come approccio alla vita rispetto a quando era giovane lei, o a quando lo erano i suoi figli?
«Siamo molto influenzati dall’età che abbiamo, che muta il giudizio anche su quello che eravamo noi stessi da giovani e facevamo cose di cui non potevamo renderci conto. Oggi la società è molto evoluta e, sul piano tecnologico e scientifico, c’è stato un avanzamento impossibile da prevedere e senza precedenti. Il problema è che non combacia più il timone con il timoniere, la carrozzeria con il motore. Tutto è cambiato troppo velocemente e noi non riusciamo a starci dietro. La corsa al progresso per agevolare l’umanità sta finendo col fottere l’umanità stessa».

Nel libro scrive che «la lingua non batte dove il dente duole, ma batte e basta». Le parole hanno perso significato?
«È un piccolo aforisma per sottolineare come ormai la lingua ha subito dei colpi irreparabili. Scriviamo e leggiamo attraverso il cellulare e quindi è quel modo di pensare il linguaggio che sta modificando il nostro stesso modo di pensare. L’intelligenza artificiale sta prendendo il posto della nostra intelligenza».

Lei si è occupato moltissimo di sport nella sua vita. Pensa che anche lo sport sia sprofondato in questa “giungla”?
«Sì, e con un aggravio pesante. Lo sport era praticato all’inizio come una ricreazione psicofisica della persona, come un gioco. Tutto questo non esiste più, oggi tutto segue i codici della vita comune, ovvero il denaro. Lo sport non è più un momento ricreativo, ma un mezzo per diventare ricchi e famosi. I bambini ancora giocano per divertirsi, ma basta osservare le squadre di calcio dei pulcini per trovare genitori che portano lì i figli non per farli divertire, ma perché sperano di far diventare il proprio bambino il nuovo Messi. È tutto sbagliato…».

Colpa dei genitori, insomma…
«Certamente, i bambini ancora non hanno certi pensieri».

Potrebbero però essere salvati dai nonni?
«I nonni per ora hanno salvato i genitori di questi bambini, visto che sono la prima generazione che ha bisogno del supporto economico degli anziani. Una volta erano i figli che aiutavano i genitori, ora la faccenda si è ribaltata… Nonostante questo un anziano una volta era considerato come un libro da leggere, oggi è “da rottamare” e anche gli ospedali preferiscono curare i giovani ai vecchi, perché dicono che “costa troppo” curarli e non ne vale più la pena».

Una visione un po’ pessimista, o c’è speranza?
«Credo non abbia senso essere pessimisti o ottimisti, bisognerebbe essere realisti per trovare la cura ai problemi dell’oggi».

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