La dirigente scolastica: «I bulli in classe esistono ma è difficile individuarli»

Ravagli a capo del classico Alighieri e del professionale Callegari-Olivetti: «In quest’ultimo due-tre episodi di bullismo da inizio anno»

Patrizia Ravagli è la dirigente scolastica sia del Liceo Classico (in tutto oltre 1400 studenti tra tutti gli indirizzi) e, da settembre 2016, anche del professionale Olivetti-Callegari (610 iscritti). Le chiediamo quindi come è la situazione e se esistono differenze importanti in termini di bullismo tra liceo e professionale. «Sono due scuole completamente diverse con studenti diversi – ci spiega la dirigente – Ognuno ha i suoi pregi e le sue difficoltà. Di episodi di bullismo negli anni ne ho visti accadere in tante scuole, per fortuna non si è mai tratto di casi eclatanti come quelli di cui leggiamo sui giornali». Ravagli ci spiega che dall’inizio dell’anno sono stati due o tre i casi nel professionale e altrettanti negli ultimi due anni al liceo.

«Purtroppo, scoprire questi episodi è difficile perché chi è vittima è spesso una persona fragile, che viene preso di mira per le sue fragilità, sono persone molto sensibili con scarsa attitudine alla reazione». E capita mai che siano i compagni testimoni a denunciare? «Purtroppo no, perché è diffusa l’idea, sbagliata, che raccontare cosa accade in classe sia come fare la spia, mentre se i compagni denunciassero farebbero solo il proprio dovere di cittadini. È un fatto questo su cui insistiamo molto, ma che in età adolescenziale spesso non viene compreso».

Gli insegnanti fanno il possibile, ci dice ancora la dirigente, ma naturalmente questi episodi avvengono in genere nei momenti in cui la sorveglianza è meno rigida. Sono magari gli stessi momenti in cui spuntano anche i cellulari. «Noi imponiamo che restino spenti, ma anche in questo caso è difficile per gli insegnanti verificare ogni momento chi ha cosa sotto il banco. Sono previste sanzioni anche qualora qualcuno pubblichi foto scattate a scuola, ma anche in questo caso, non possiamo passare la nostra vita a setacciare i social, qualcosa può sfuggirci. Per questo cerchiamo di sensibilizzare moltissimo gli studenti e lavorare sulla prevenzione, organizzando incontri e interventi nelle classi su questo tema, in particolare sui rischi del web e del pubblicare foto o immagini che poi diventano virali e non sono più cancellabili. E credo che qualche risultato si sia visto».

Sulle sanzioni a chi viene scoperto colpevole di bullismo, dice ancora Ravagli, non c’è un’unica misura, si valuta il caso. Si può andare dalla sospensione all’impiego dei ragazzi in lavori socialmente utili all’interno del plesso. «L’anno scorso l’abbiamo fatto, d’accordo con le famiglie, chiedendo loro di svuotare i bidoni della raccolta differenziata della scuola. Ma purtroppo c’è sempre il problema della sorveglianza». E lavori socialmente utili al di fuori della scuola sul modello di Faenza? «Tentammo di farlo anni fa, ma non fu semplice trovare associazioni disposte a prendere minorenni in carico, perché si tratta di una responsabilità. Certo sarebbe una cosa fantastica, ma non è di facile attuazione». E per la vittima, invece, la scuola offre un supporto psicologico? «Entrambe le scuole hanno lo sportello dello psicologo, peraltro molto frequentato, che offre consulenza, ma certo non si può parlare di piscoterapia. In caso qualcuno racconti allo psicologo di essere vittima di bullismo lui è tenuto alla denuncia, ma non a riferirlo alla scuola».

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