L’uomo che ha tolto il foraggio alle mafie

Antoci, presidente del Parco dei Nebrodi, scampato a un attentato. Ospite a Ravenna per “Il viaggio legale”: «Noi onesti siamo più di loro»

Per la mafia era un business facile e redditizio. Versando un canone irrisorio alla Regione Sicilia, le famiglie di Cosa Nostra ottenevano il rinnovo della concessione di pascoli sterminati nella riserva naturale da 86mila ettari del Parco dei Nebrodi garantendosi l’accesso a una pioggia di milioni di fondi europei. Poi nel 2013 il presidente della Regione, Rosario Crocetta, interrompe un decennio di commissariamento del parco e chiama Giuseppe Antoci alla presidenza: cambiano le regole per l’assegnazione delle terre e si chiudono i rubinetti per la mafia. Ma cambia anche la vita di Antoci: minacciato dalla malavita e sotto scorta. Sarà a Ravenna il 4 marzo in un incontro pubblico compreso nel calendario di iniziative chiamato “Il viaggio legale” (in fondo all’intervista il programma più dettagliato dei due giorni)

Presidente Antoci, a maggio del 2016 un commando armato ha bloccato per strada la vettura su cui lei viaggiava e ha cominciato a sparare. Cosa le ha lasciato quella notte?
«Mi sono salvato grazie all’auto blindata e all’intervento della scorta. Mi porterò dietro per sempre la grande riconoscenza nei loro confronti. Ma anche la voglia di non fermarmi. Il mio approccio non è cambiato».

Da molto tempo la malavita non premeva il grilletto contro un uomo delle istituzioni. Cosa può aver innescato un’azione così violenta?
«La mafia non attaccava un uomo delle istituzioni dalla stagione delle stragi. È accaduto perché ormai è chiaro che abbiamo messo le mani in tasca a Cosa Nostra, con la legalità abbiamo messo un freno a una delle fonti di finanziamento più importanti che da anni garantiva risorse e su cui nessuno aveva mai fatto ordine. Scoperchiare il pentolone ha scatenato una reazione forte da parte delle associazioni mafiose».

Il quadro di regole che ha riordinato l’accesso ai fondi europei per l’agricoltura è diventato il Protocollo Antoci. Abbassare da 150mila euro a zero la soglia per cui è necessario il certificato antimafia è stata una svolta importante.
«Il protocollo ha scompaginato i loro piani e sta dando risultati: le interditttive antimafia fioccano, le revoche arrivano e chi ha fatto ricorso in tribunale ha perso».

La normativa a disposizione è sufficiente per contrastare la mafia?
«La normativa del codice antimafia è evoluta ma forse necessita di un lifting per essere aggiornata. In un certo senso è già quello che abbiamo fatto in Sicilia con il protocollo oggi adottato da tutti i prefetti. Potrebbe diventare un modello da seguire su scala nazionale».

Nel corso di interviste in passato più volte ha ribadito che sta facendo solo il suo dovere. Ma nel suo caso richiede uno sforzo importante. Cosa la spinge?
«Abbiamo l’occasione per cambiare davvero la Sicilia. Sono convinto che siamo più noi onesti che loro. Non deve radicarsi la convinzione che fare il proprio dovere significhi poi finire sotto scorta: se tutti noi onesti facciamo il nostro dovere ci saranno sempre meno Antoci sotto scorta. Per questo quando capita di incontrare i ragazzi negli incontri pubblici non dico mai che loro sono il futuro perché è come allontanarli: i ragazzi sono il presente in cui devono essere protagonisti».

Viene a Ravenna, una provincia che dai giorni scorsi deve fare i conti con una sentenza di primo grado del tribunale che riconosce l’esistenza di un’associazione di stampo mafioso i cui vertici vivevano nella Bassa Romagna. Come va letta questa sentenza?
«Dimostra che le mafie hanno necessità di coprire posizioni in territori vergini. E guai a fare del negazionismo perché si aprono zone grige dove le mafie si infilano. I territori vergini devono avere ancora più attenzione altrimenti ci si sveglia una mattina con una sentenza come Black Monkey».

Se in tribunale regge l’impianto del 416 bis, chi ha amministrato i territori finora deve farsi delle domande?
«La prima riflessione la deve fare chi sminuiva le segnalazioni e chi non ha fatto il proprio dovere nelle pubbiche amministrazioni. Ci tengo a ricordare una cosa precisa: fare l’amministratore non è una prescrizione del medico, se ci si dimette non succede niente, non ci si ammala».

Per un territorio dove la mafia è qualcosa di nuovo la parte difficile può essere anche riconoscere i segnali della sua presenza. A cosa bisogna stare attenti?
«A tutto. E denunciare. I cittadini devono denunciare al primo segnale. La denuncia è l’unica e prima tutela che una società civile può darsi. Basta abbassare gli occhi una volta e il problema nasce».

IL VIAGGIO LEGALE CON LA MEHARI DI SIANI
La Citroen Mehari verde di Giancarlo Siani, giornalista ucciso dalla camorra a Napoli nel 1985, prosegue il suo viaggio in Emilia Romagna e arriva a Ravenna. L’ultima tappa dell’iniziativa “Il viaggio legale” che gode dell’alto patrocinio del Parlamento Europeo: dal 3 al 5 marzo eventi e incontri dedicati alla legalità e al contrasto delle infiltrazioni mafiose. Il simbolo di questo percorso è appunto l’auto su cui venne barbaramente ucciso il giovane cronista de “Il Mattino”: giungerà in piazza del Popolo a Ravenna alle 9 di sabato 4 marzo. Si parte venerdì 3 marzo alle 9.30 al Consar di Ravenna in via Vicoli 97 con il convegno pubblico, organizzato dalla Filt-Cgil, “Infiltrazioni legali. Modificare la legge per tutelare i soci lavoratori e la cooperazione sana”. Dopo i saluti di Costantino Ricci, segretario generale della Cgil di Ravenna, e di Veniero Rosetti, presidente del Consar, interverranno Michele Miscione, avvocato e professore dell’Università di Trieste, Andrea Gentile, presidente nazionale di Assologistica, Roberto Riverso, consigliere delle Corte di Cassazione, Cinzia Franchini, presidente nazionale di Fita Cna, Giovanni Monti, presidente Legacoop Emilia Romagna, Donato Montibello, collaboratore ministero del Lavoro, e Giulia Guida, segretaria della Filt Cgil nazionale. Coordina Michele De Rose, segretario generale della Filt Cgil Emilia Romagna. Sabato 4 marzo è invece in programma l’incontro moderato dal giornalista Luca Pavoratti del Corriere Romagna: alla sala D’Attorre alle 10 “Storie di resistenza alla criminalità. Il prezzo dell’onestà” a cui prenderà parte Giuseppe Antoci. Il Viaggio Legale è promosso da Filt Cgil Emilia Romagna e Bologna, Caracò, Libera, Comitato IoLotto, Cgil Emilia Romagna, Cna Fita, Fondazione Polis.

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