È morto Carrino, «ma bicchieri e cuscini appoggiati sulle sue sculture in piazza…»

L’associazione culturale Tessere del Novecento ricorda la figura dell’artista pugliese scompaso a 86 anni: nel 2002 realizzò il Costruttivo Progetto Ravenna 99 in acciaio inox sulla gradinata del Palazzo del Mutilato

4Pugliese di origine, si è spento a 86 anni nella sua casa-studio di Roma lo scultore Nicola Carrino. A Ravenna nel 2002, su incarico del Gruppo Nettuno e dell’Azienda Morina, Carrino realizzò due blocchi modulari posizionati sulla gradinata davanti al Palazzo del Mutilato in piazza Kennedy e un blocco modulare sull’ingresso della corte laterale in via IX febbraio. L’associazione culturale Tessere del Novecento ricorda l’artista con un pizzico di velata polemica: nelle foto scattate alle opere in piazza il 17 maggio si vede che «uno dei moduli è oggi utilizzato assai impropriamente come posa cuscini e posa bicchieri. Tale discutibile uso dell’opera si potrebbe ovviare o spostando i tavolini del bar o spostando i moduli, nel qual caso diverrebbe necessario il benestare degli eredi». L’opera in lamiera d’acciaio inox AISI 304 di 3 mm di spessore venne donata dall’artista alla città di Ravenna a condizione che il Comune ne preservasse l’integrità: «Ma la nostra amministrazione comunale non l’ha mai presa formalmente in carico e si auspica che sia l’attuale Sindaco a rimediare a questa lunga omissione che alla città non fa molto onore».

Ma cosa c’è all’origine di quelle opere? La nota dell’associazione riporta alcune parole dell’autore stesso: «Il trattamento molato a zone della superficie degli elementi modulo realizza effetti illuministici di variabilità cromatica in rispondenza del variare della luce naturale e dell’illuminazione notturna. Il Costruttivo Progetto Ravenna 99 non svolge funzione di simbolo da contemplare ma si rende strumento attivo della comunicazione estetica a compimento dell’intervento innovativo di restauro e riuso totale dell’edificio, integrando la qualità minimale della scultura contemporanea con la concezione originaria storicamente razionalistica del progetto architettonico». Recentemente, è stato Maurizio Bucci, contemporaneamente alla nuova sistemazione del Salone dei Mosaici, a farsi carico della ripulitura dell’opera di Carrino imbrattata di scritte.

Carrino fu fondatore nel 1960 del Gruppo Uno (sotto l’egida di Argan). Considerava la scultura come l’arte di dimensionare e mutare l’ambiente urbano, tramite moduli sperimentali in ferro e acciaio, assemblati e ricomposti sugli spazi pubblici. Condivise i princìpi enunciati nel 1978 da Pietro Consagra a Matera sulla rilettura del rapporto tra spazio e materia. Il Presidente dell’Accademia di San Luca, Gianni Dessì, ha parlato di “grave perdita per la cultura italiana”. Celebre negli anni ’60 la sua serie dei “Costruttivi trasformabili”, sui quali Helga Marsala ebbe a scrivere nel 2015: “Scultura come esperienza processuale, mai compiuta, potente e insieme fragile, nella sua capacità di mutare insieme al paesaggio e all’osservatore; uno scontro caldo tra presenze capaci di sottrarsi e di sommarsi, di collidere e di accordarsi, di essere ed evolversi a un tempo”. Le sue installazioni monumentali in dialogo con i contesti urbani gli guadagnarono già nel 1971 il Premio per la Scultura alla XI Biennale di San Paolo del Brasile e poi nel 2010 la medaglia d’oro del Presidente della Repubblica per l’antologica “Al MODO” di Orvieto, inserendolo fra i più affermati e rigorosi scultori italiani contemporanei.

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