La richiesta di Lista per Ravenna che parte da alcune recenti sentenze e da una circolare del ministero dell’Istruzione. Al momento il regolamento comunale lo vieta
Si aggiunge una direttiva del Ministero dell’istruzione «che ammette tale diritto, chiedendo soltanto che si ponga attenzione a prevenire situazioni di criticità, evitando in particolare, come indicato dal ministero della Salute, lo scambio di alimenti. Dalle nostre parti, essa non ha tuttavia avuto alcun seguito, nonostante il regolamento del servizio di ristorazione scolastica vigente nel Comune di Ravenna, applicandosi non solo ai nidi e alle scuole dell’infanzia comunali, ma anche a tutte le scuole statali fino a quelle secondarie di primo grado, prescriva che “non è consentito consumare pasti non forniti dal Comune nei locali mensa”. Di fatto, nemmeno una merendina, come invece era già possibile a Benevento».
Lista per Ravenna monitorava da tempo l’evoluzione di questo problema. Nel 2011, raccogliendo le proteste delle famiglie di una scuola elementare, si oppose, per esempio, all’obbligo che i bambini consumassero, senza alcuna alternativa che pranzare solo con un frutto, un “menù etnico” costituito da un piatto unico di riso, carne e verdure dal sapore sgradito a molti. «D’altra parte – aggiunge Ancisi -, il ricorso al menù unico e a piatti tipici regionali ed etnici, che oggi è diventato sistematico, è scelta condivisibile, purché, appunto, non venga imposta vietando perfino alle famiglie di provvedervi in proprio». A ciò si aggiunge la questione delle tariffe del pasto scolastico, secondo Lista per Ravenna molto alte: «Basta avere un reddito Isee superiore a 6.000 euro per pagare, nelle scuole dell’infanzia, da 78,77 euro fino a 151,77 mensili, e nelle scuole per più grandicelli da 4,03 euro a 7,20 per singolo pasto».
Per questo Ancisi chiede al sindaco se ritenga di predisporre una modifica del regolamento comunale del servizio di ristorazione scolastica, nel senso di consentire agli alunni il consumo, nei locali in cui si svolge la refezione scolastica, di cibi diversi da quelli forniti dalla ditta appaltatrice del servizio, riservando all’apparato dirigenziale, titolare delle funzioni gestionali dell’amministrazione comunale, di definirne le modalità.