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    Categoria: società

Minori, anziani, disabili: nei servizi sociali crescono spesa, progetti e operatori

L’assessora comunale Valentina Morigi fa il punto dopo due anni dall’internalizzazione a Ravenna di un comparto così cruciale e illustra le novità in termini di bisogni e risposte, dagli educatori al welfare generativo

 

A gennaio saranno due anni che i Servizi Sociali sono tornati in seno all’Amministrazione comunale di Ravenna, la prima promessa elettorale mantenuta dalla nuova giunta. Facciamo il punto con l’assessora Valentina Morigi che nella squadra di De Pascale detiene questa delega. Ben sapendo che il tema è vastissimo e che è impossibile da esaurire in un’intervista, abbiamo cercato innanzitutto di mettere in rilievo le novità emerse.

Assessora, partiamo dal profilo gestionale. Oltre al passaggio diciamo formale da Asp a Comune, cosa è cambiato di concreto nel settore dei servizi sociali per gli utenti?

«Innanzitutto abbiamo provveduto a rivedere l’assetto organizzativo del servizio, potenziandolo: abbiamo assunto dieci assistenti sociali e inserito nelle aree territoriali nuove figure: educatori professionali e assistenti familiari».

Che tipo di assistenza offrono e che preparazione hanno?

«Gli educatori professionali, insieme alle assistenti sociali, hanno il compito di seguire le persone in carico al servizio nei loro progetti di vita e percorsi di autonomia, inoltre costruiscono forme di collaborazione con associazioni e organismi di partecipazione del territorio, dando vita a progetti di welfare di comunità. Gli assistenti familiari svolgono un ruolo di prossimità al servizio delle persone fragili e vulnerabili, alle quali offrono sostegno nelle attività quotidiane, come la spesa, o il recarsi dal medico per le ricette o ancora l’acquisto dei farmaci. Sono figure importanti, che grazie a un finanziamento regionale e a un bando in pubblicazione nei primi mesi del 2019 estenderemo a tutte le aree territoriali».

Ma quindi, è aumentata la spesa per i servizi sociali?

«Sì, è aumentata, soprattutto per finanziare progetti nuovi, grazie anche a fondi dalla Regione, che ci siamo aggiudicati vincendo diversi bandi. Oggi rispetto al 2016 nel bilancio comunale ci sono 800mila euro in più all’anno (su una spesa complessiva di 11,5 milioni, ndr), di cui ben 500mila per i minori, che rappresenta un’area sempre più problematica».

Perché proprio l’area minori in una società che fa peraltro sempre meno figli?

«Perché le famiglie sono più fragili e vulnerabili, la crisi che ci ha attraversati non è stata solo economica ma anche culturale e valoriale. Inoltre, le famiglie tendono a essere sempre più piccole, crescono quelle mono-genitoriali. Stiamo quindi moltiplicando i progetti rivolti ai ragazzi, soprattutto ai preadolescenti».

A proposito di famiglie: uno dei punti dolenti resta la questione casa.

«È un tema su cui abbiamo posto grande attenzione, grazie ai nuovi servizi della Regione, ma anche con risorse dirette del nostro bilancio. Ogni anno circa 200mila euro nell’assistenza economica vengono concessi alle famiglie e impiegati per fare fronte a cauzioni, mensilità di affitto ed esenzione dei canoni in alloggi Acer. Inoltre è nato un fondo di 150mila euro per le morosità incolpevoli, ossia persone che hanno smesso di pagare canone a seguito della perdita del lavoro per un incidente, un’invalidità, un’inabilità, non autosufficienza. Se a questo aggiungiamo i circa 350mila euro messi a disposizione dalla Regione per il Fondo Affitto, in tutto i contributi per il sostegno all’abitare ammontano a 700mila euro».

Questo è servito in qualche modo ad allentare la pressione sulle richieste di alloggi popolari, da sempre una questione aperta?

«Si è un po’ allentata grazie a un maggiore turnover dovuto al nuovo regolamento regionale che ha interrotto alcune situazioni diciamo di ereditarietà. Ma la vera misura risolutiva è quella di immettere nuovi immobili a disposizione dell’edilizia sociale. All’inizio del mandato abbiamo inaugurato nuove case in via Patuelli grazie al fondo casa Acer del governo. Ora quello a cui pensiamo sono nuovi strumenti di pianificazione urbanistica che possano intervenire sul mercato della casa, per esempio mettendo a disposizione immobili oggi vuoti».

L’altro grande capitolo in capo ai servizi sociali è il tema della disabilità che riguarda la qualità della vita di singoli e famiglie e la garanzia di diritti che non sempre sono garantiti.

«Sì, ed è forse quello su cui in questi due anni abbiamo fatto la svolta principale. Nel 2018 abbiamo dato l’avvio a un percorso partecipato, un focus del terzo settore che mette insieme il mondo della cooperazione sociale, le famiglie e i disabili stessi per dare risposte a nuovi bisogni. Nel 2019 rimoduleremo i servizi per l’aspetto socio-occupazionale: oltre alle tradizionali soluzioni con le cooperative sociali, vogliamo ampliare la possibilità di scelta coinvolgendo imprese e aziende. Questo per dare una possibilità di scelta il più diversificata possibile ai ragazzi, partendo dalle loro competenze e aspirazioni. Vogliamo, insomma, rovesciare il paradigma seguito fino ad ora».

Questo per quanto riguarda i disabili adulti, ma a lamentarsi sono anche le famiglie con bambini che si sentono spesso abbandonate al di fuori della scuola e che devono sopportare un carico di lavoro di cura particolarmente gravoso.

«Anche su questo ci sono novità importanti che coinvolgono le associazioni attraverso i piani di zona. Per esempio un fondo da 200mila euro per venti progetti che in parte proseguono esperienze esistenti, in parte serviranno per esperienze nuove su quello che è lo sport e il tempo libero. Abbiamo coinvolto la città e siamo stati premiati perché sono arrivati progetti innovativi e stimolanti che vanno dai centri di aggregazione alla musica. Inoltre abbiamo fatto un investimento di 400mila euro all’anno per incentivare la parte educativa domiciliare: l’idea è quella di creare figure che possano intervenire in casa per sollevare la famiglia da una parte del carico di lavoro aggiuntivo che un figlio disabile necessariamente comporta. Sono troppi i genitori costretti a restare a casa dal lavoro per seguire un figlio disabile».

Farete un bando? Sarà un servizio in compartecipazione? Cioè chiederete alle famiglie, in base all’Isee, di partecipare alle spese?

«Faremo un bando a inizio 2019 e sarà prevista una compartecipazione delle famiglie, come per tutti i servizi legati alla domiciliarità. Andremo a cercare figure competenti che possano sia aiutare le persone adulte con disabilità a compiere il proprio progetto di vita, sia le famiglie con minori disabili. Si tratta anche in questo caso di bisogni nuovi, che in passato magari potevano essere soddisfatti da una rete più larga, dai nonni in pensione, che oggi invece sono costretti a lavorare più a lungo».

Ma quante sono queste famiglie con bambini o adulti disabili nel comune di Ravenna?

«Ottima domanda a cui è difficile rispondere. Noi conosciamo le famiglie che entrano in contatto diretto con il Servizio, o quelle con cui entriamo in contatto attraverso altri servizi, come l’Azienda Sanitaria o come i servizi per l’infanzia (che prevedono una partecipazione al sostegno scolastico con l’educatore). Tuttavia ci sono e restano realtà sconosciute ai servizi e famiglie che ignorano cosa i servizi sociali potrebbero fare per loro».

C’è un problema di comunicazione, quindi?

«C’è una questione che riguarda la cultura e la conoscenza dei servizi. Per questo ho intrapreso un tour nei consigli territoriali per raccontare che cosa facciamo. Quello sociale è un lavoro spesso invisibile, noto solo a chi lo pratica e chi ci entra in contatto. In realtà la cultura della solidarietà e della presa in carico dovrebbe riguardare sempre più tutta la comunità. Ecco perché stiamo pensando a una guida ai servizi che possa essere di aiuto a quelle figure che intercettano la popolazione come i medici o le scuole. E poi lavoreremo con i consigli territoriali per dar vita a nuove forme di welfare di comunità generativo. Per esempio dopo l’Epifania incontrerò nuovamente il Consiglio del Centro Urbano per avviare, in centro a Ravenna, un progetto dedicato agli anziani che vivono da soli, in costante aumento. Attiveremo associazioni di volontari, responsabili di condominio o di strada, adeguatamente formati, che possano andare tutti i giorni, passare da chi vive da solo e, in caso di necessità, attivare servizi».

In effetti la demografia ci dice che il futuro ci riserva soprattutto il tema della terza età. Quando aprirà la nuova casa protetta?

«La nuova struttura del Solco aprirà entro il 2020, e metterà a disposizione del territorio 135 posti letto: 95 saranno accreditati, con un nucleo Alzheimer di 15 posti. Tra pochi mesi aprirà anche la Comunità Alloggio Casa Fabbri, la prima a gestione pubblica nel nostro comune. Con il trend di invecchiamento della popolazione è necessario comunque continuare a lavorare anche sulla domiciliarità da un lato mettendo a sistema servizi che possano contribuire a mantenere l’autonomia della persona anziana non autosufficiente senza che la sua cura pesi esclusivamente sui famigliari, riqualificando e progettando l’assistenza domiciliare, dall’altro dando vita a nuovi servizi di supporto alle persone anziane che hanno ancora capacità autonome residue e che esprimono bisogni ordinari».

Veniamo al capitolo bassa soglia, ossia alle persone forse più economicamente fragili, senza fissa dimora. Innanzitutto: è sufficiente il dormitorio rispetto alle richieste?

«Per il momento sì, peraltro oggi è aperto, a differenza che in passato, tutto l’anno e non solo in inverno. Ed è stata una scelta giusta. Ma il progetto che forse mi sta a cuore anche per la portata innovativa è quello che riguarda i minori non accompagnati nel momento in cui diventano maggiorenni e devono uscire dalle strutture finanziate dallo Stato. Hanno 18 anni e si ritrovano qui, soli, spesso impegnati in un percorso di studi non ancora concluso. Non è il dormitorio il posto per loro. Ecco perché daremo vita a un nuovo servizio, con Housing First, ovvero appartamenti da condividere riservati a loro dove saranno seguiti da persone più adulte ed esperte, ma dove potranno compiere un percorso verso l’autonomia. Esiste già per altre tipologie di utenti, ora aprirà anche per loro».

Ma sarà quindi riservato solo agli stranieri?

«No, a tutti i neomaggiorenni che si trovano in difficoltà, ci sono purtroppo anche molti italiani nelle case famiglia».

I servizi sociali sono terreno di scontro quotidiano e di molte dicerie rispetto al tema italiani/stranieri. Non mancano i lettori che scrivono anche a noi accusandola di occuparsi solo di immigrati e di trascurare gli italiani. Anzi, si può dire che forse è uno dei temi su cui hanno guadagnato consensi la Lega e forse anche il Movimento 5 Stelle. C’è un problema su questo fronte? La nuova povertà riguarda effettivamente soprattutto gli stranieri privi di reti familiari sul territorio?

«Il recente rapporto del Censis fotografa un’Italia più povera e più arrabbiata, fanalino di coda in Europa per ripresa economica. In questo quadro di impoverimento generale, gli istituti di ricerca pongono l’attenzione su due categorie a rischio più delle altre: le giovani generazioni, più precarie e con salari più bassi e senza tutele sociale e i migranti, che in aggiunta non hanno una rete familiare di supporto. In una situazione come questa, una guerra tra poveri non ha alcun senso. Avrebbe invece senso chiedersi come mai sia aumentata la forbice della disuguaglianza sociale  a favore della ricchezza».

Qual è il capitolo che ancora non avete affrontato e che invece segnerà i prossimi due anni e mezzo di mandato?

«Stiamo lavorando, dall’inizio di questa esperienza, su tutti gli ambiti del sociale, per potenziare e migliorare gli interventi. Da qui alla fine del mandato ci concentreremo maggiormente per sperimentare progetti di welfare generativo, con l’obiettivo di far crescere una cultura di solidarietà, altruismo e di giustizia sociale, che coinvolga tutto il territorio, non solo l’assistente sociale e il cittadino bisognoso».