Don Mattia Ferrari, il prete sulla nave che salva i profughi: «I porti sono aperti»

Ospite al circolo Arci Dock 61 di Ravenna. «Auguro a tutti l’esperienza di fraternità provata su Mediterranea»

Donmattia

Don Mattia Ferrari

È stato sulla nave “Mediterranea Saving Humans” – l’unica imbarcazione italiana che opera nelle acque del Mediterraneo allo scopo di salvare i naufraghi in pericolo di vita, finanziata tramite raccolta fondi e animata da volontari – dal 30 aprile al 10 maggio, quando è rientrata a Lampedusa dopo aver tratto in salvo una trentina di profughi in balia del mare al largo delle coste libiche.

Don Mattia Ferrari, ora tornato nella sua parrocchia di Nonantola, prosegue però il suo impegno per il progetto e sarà questa sera (venerdì 14 giugno) a Ravenna al circolo Dock 61, proprio per raccontare di quell’esperienza (aperitivo e raccolta fondi a partire dalle 18.30, incontro alle 19.30).

Don Mattia, cominciamo dalla fine. Perché partecipa a serate come quelle al Dock 61, a cosa servono questi incontri, oltre a raccogliere fondi?
«Sono serate che servono per conoscerci, per raccontare di Mediterranea, parlare e spiegare. Perché se stiamo lasciando che la gente muoia in mare o venga torturata in Libia, abbiamo un problema culturale, dobbiamo riscoprire la nostra comune umanità. “Saving Humans” sta a dire non solo salvare le vite di chi è in mare, ma salvare anche la nostra comune umanità».
Al momento la nave è bloccata e il capitano è sotto indagine. Se fosse stato già in vigore il Decreto Sicurezza Bis ci sarebbe addirittura una multa. Siete preoccupati? Sembrate avere più di un nemico. Quanto fa male venir additati come fiancheggiatori dei trafficanti di uomini?
«Noi sappiamo bene di non esserlo. Noi non siamo contro nessuno, non ci siamo scelti un nemico, noi facciamo una missione a favore di qualcuno e qualcosa. Poi è vero, c’è chi ce l’ha con noi, ma noi siamo tranquilli con la nostra coscienza, sappiamo di aver rispettato le leggi del mare e le leggi dell’umanità. A preoccuparci è il fatto che in questo momento con Mediterranea e Sea Watch ferme, senza navi di Ong in quel tratto di mare, non c’è nessuno che va a salvare queste persone, ad angosciarci è l’idea che possa capitare, come è successo, che siano morti di recente una mamma e un bambino. E noi il 9 maggio abbiamo salvato una mamma e un bambino, chissà, se fossimo stati in mare. Ma il problema è anche che un certo tipo di propaganda fomenta rabbia, che non fa bene a nessuno».
Ma il Ministro dell’Interno continua a difendere la scelta dei porti chiusi…
«Noi per la verità abbiamo visto che i porti sono aperti e che gli sbarchi, anche spontanei, si stanno succedendo. Ed è un bene che siano aperti perché ha ragione il presidente Mattarella quando dice che la risposta è l’accoglienza. L’arcivescovo di Palermo Corrado Lorefice ha detto chiaramente che se chiudiamo i porti ai poveri siamo disperati che hanno perso il senso della vita. Perché il senso della vita si trova proprio nel dare la vita per gli altri, amore a chi è più bisognoso; è il contrario della retorica del disprezzo verso l’altro».
Ma in questo momento ci sono due chiese, come può sembrare a chi è esterno? Quella dell’accoglienza predicata dal Papa e quella a cui fa riferimento chi invece vuole i respingimenti e che ha, politicamente parlando, tanto seguito anche tra i cattolici?
«Ogni cristiano è libero di dare il voto a qualsiasi tipo di proposta politica, ma la chiesa è una ed è quella di Papa Francesco e che trova voce nella Cei. La Chiesa è una ed è quella di Pietro, che ha il dovere di richiamare il Vangelo e deve comportarsi come si comporterebbe Gesù se vivesse oggi, che è appunto ciò che fa Papa Francesco. Essere cristiani significa comportarsi da discepoli di Gesù di Nazareth».
Lei è un prete e venerdì sarà al Dock. Su Mediterranea ci sono laici e atei, personalità che vengono da un mondo storicamente molto lontano da quello delle parrocchie. Il tema dell’immigrazione sta forse abbattendo muri trasversali all’interno della società e mettendo insieme forze che fino a oggi avevano viaggiato separate?
«Sì, sta avvenendo sul tema dell’immigrazione così come su quello ambientale, pensiamo all’enciclica “Laudato si’” che è rivolta a tutti coloro che abitano questa pianeta. Ed è una cosa bellissima, che offre tanti segni di speranza, l’esperienza di tanti giovani in mare e in terra che ci mettono la faccia per salvare gli altri, come in mezzo alle tenebre, storicamente diversi, ma di fronte a queste sfide le incomprensioni reciproche si superano ed è bello camminare insieme. Del resto è un fenomeno che dal basso avevamo già visto, per esempio con l’esperienza di Libera di Don Ciotti, ma ora si sta ampliando».
Del resto lei è salito sulla nave proprio come rappresentante della Chiesa, con tanto di approvazione di due vescovi, se non sbaglio.
«Sì, perché l’idea era che sulla nave non salisse il prete eroe, ma appunto la Chiesa. E l’invito a me è arrivato da Luca Casarini, perché a Bologna già da un po’, grazie ai migranti, abbiamo imparato a conoscerci e a collaborare. In particolare ci trovammo a chiedere a Ya Basta e al Tpo di accogliere in pieno inverno un ragazzo di 18 anni che viveva in stazione senza più speranza. Ci hanno spalancato le porte, lo hanno accolto e lui è rinato. Anche da quello è nata la visita dell’arcivescovo di Bologna Matteo Zuppi al Tpo. C’erano stati altri incontri in passato a Milano, ma in un terreno neutro. Ora i tempi erano maturi per un passo ulteriore. Un altro segnale importante è arrivato dal fatto che sia Radio Vaticana, l’Avvenire e l’Osservatore Romano abbiano parlato della mia esperienza su Mediterranea».
Vorrebbe ripartire? Che ricordo conserva di quelle giornate a bordo?
«Non subito, non in tempi brevi perché ora sono tornato alla parrocchia di Nonantola. Ma certo posso dire che il salvataggio di quelle persone, tutte diverse per provenienza, religione, storia personale, è stata l’esperienza più bella per tutti. La danza della vita che si è scatenata quando hanno capito di essere salvi è stata un’esperienza di fraternità universale tra uomini e donne che noi auguriamo a tutti di provare, anche a chi ci attacca».

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