Un ravennate nel focolaio di New York: «Dopo un mese in casa mi è venuta la febbre»

La testimonianza del 51enne fotografo Michele Palazzo, digital designer per la multinazionale Walmart: «Le aziende private sono state più veloci del presidente Trump. Lavorare da casa qua non si chiama smart working, è una cosa normale». Le previsioni sul futuro: «La tecnologia guiderà la ripresa»

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Michele Palazzo in bicicletta per le strade di New York, prima della diffusione del coronaviru

Tra i quasi nove milioni di abitanti di New York City, che stanno affrontando l’aumento esponenziale delle positività e dei morti da Covid-19, c’è il 51enne ravennate Michele Palazzo. «Credo di essere anche io tra i contagiati ma non tra i numeri delle statistiche ufficiali»: con una chiamata su Whatsapp il 3 aprile abbiamo raccolto la testimonianza del digital designer e fotografo che vive nella Grande Mela da dieci anni.

«Ho appena passato quattro giorni con febbre fino a 38,5 e il medico al telefono mi ha detto che quasi certamente si tratta di coronavirus. Non c’erano altri sintomi e abbiamo valutato che non era il caso di avvicinarsi a un ospedale, quindi non ho avuto il tampone e sono rimasto semplicemente in casa ad aspettare». A voler essere più precisi, Michele è rimasto in camera da letto: «In casa c’è anche mia moglie che non ha sintomi. Lei resta in salotto e quando io devo uscire dalla camera disinfettiamo tutto quello che tocco». Barricato in una stanza in attesa che gli anticorpi combattano il virus: «Anche volendo prendere i farmaci che potrebbero essere utili, non sarebbe possibile: le scorte in farmacia non vengono date ai privati ma tenute per gli ospedali».

Come si possa essere contagiato è una domanda a cui il ravennate non sa rispondere: «Da inizio marzo lavoro da casa e sono uscito solo due o tre volte per fare la spesa con mascherina e guanti tenendo le distanze come raccomandato. Il medico mi ha detto che il virus poteva essere nascosto in qualche angolo del mio organismo da tempo e si è attivato solo adesso».

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Una foto scattata da Michele Palazzo sul marciapiede in fila per entrare in un supermercato a New York

Da un mese, come detto, il ravennate fa smart working: «In realtà quella è un’espressione inglese che si usa in Italia, qua si dice semplicemente “lavorare da casa” perché per molte professioni come la mia non è una cosa così straordinaria, capitava spesso anche senza pandemie in corso». Michele è a capo di uno dei team (in totale 300 persone) che curano l’interfaccia delle piattaforme digitali della multinazionale Walmart che conta seimila punti vendita negli Usa: «La squadra di designer è sparsa per vari Stati quindi le riunioni in videoconferenza online sono una cosa normale da tempo per noi. Certo, una parte di lavoro in ufficio c’era». 

La sede del lavoro è in New Jersey, dall’altra parte del fiume rispetto alla sua abitazione: venti minuti di metropolitana. Un mese fa Palazzo ha comunicato all’azienda la sua volontà di prendere misure speciali per fronteggiare il coronavirus: «Ho capito che le cose erano più serie di come le raccontavano alcune autorità e ho comunicato la mia intenzione di restare a casa. Devo dire che in generale per evitare assembramenti e favorire il distanziamento sociale sono stati molto più pronte le aziende private. Gli esempi di chi è stato previdente sono i negozi gestiti da cinesi, sono stati i primi a chiudere ed era ancora febbraio. Gli Stati Uniti come amministrazioni pubbliche sono arrivati un po’ in ritardo e lo dobbiamo al nostro presidente Trump».

Chi invece sta comunicando con trasparenza e puntualità, secondo Palazzo, è il governatore dello Stato Andrew Cuomo: «Messaggi chiari e diretti. All’inizio ha lasciato che altri dicessero la loro poi a un certo punto ha preso in mano la situazione appoggiandosi ai pareri degli esperti di Sanità. E dice una cosa molto importante: oggi ha bisogno New York, quando l’emergenza scenderà il materiale verrà spostato altrove. Circola già l’hashtag #CuomoForPresident».

Ora anche gli Usa hanno dato una stretta alle attività. Con qualche approccio diverso rispetto a quello che stiamo vivendo in Italia. Lo scenario in strada ce lo descrive il designer: «Non è vietato uscire ma è vietato assembrarsi, quindi niente picnic nei parchi, niente partitelle di basket nei playground ma si può fare jogging se si corre da soli, chiuse le fabbriche non essenziali, aperti solo i negozi di alimentari, i ristoranti fanno solo delivery, i mezzi pubblici girano ma ridotti. Le zone meno attente sono quelle frequentate dai più giovani come Brooklyn. Ora il sindaco ha chiesto a tutti di mettere qualcosa sul volto prima di uscire, una mascherina o almeno una sciarpa».

I centri commerciali Walmart sono tra quelli aperti: «Con una serie di modifiche e precauzioni. Nella maggior parte si va solo a ritirare gli ordini comprati online. E nei parcheggi sono stati realizzati delle postazioni per fare tamponi alla gente senza che scenda dalle auto. In America c’è un detto: il 90 percento degli americani vive a meno di dieci miglia da un Walmart».

Cosa succederà dopo la pandemia? Come uscirà l’economia da questa emergenza? Il ravennate prevede grandi cambiamenti trainati dalle tecnologie digitali: «Meno viaggi e più mezzi di comunicazione. La tecnologia avrà una parte importante nel decidere cosa fare e come prevenire altri focolai. Le aziende dovranno imparare ad adattarsi più velocemente. Un esempio: alcune catene che hanno chiuso i punti vendita fisici hanno riconvertito il personale in addetti alle vendite online, hanno dato loro una nuova skill e hanno potenziato l’e-commerce». E infine Palazzo prevede un cambiamento nell’approccio delle aziende verso i dipendenti: «Si terrà più in considerazione la vita e si avrà più attenzione alle risorse umane per fare in modo che i lavoratori stiano bene, siano sani e felici».

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