La sociologa Raffaella Sutter: «Il linguaggio bellico del Covid-19 come nemico ci impedisce di comprendere cosa sta succedendo, un’emergenza sanitaria si trasforma in emergenza sociale ed economica perché siamo in un sistema fragile»
Raffaella Sutter, 65 anni, è sociologa, è stata dirigente del Comune di Ravenna occupandosi prima di servizi sociali, poi di politiche giovanili, pari opportunità, immigrazione, cooperazione decentrata, progetti di cittadinanza attiva. Svolge tuttora un’attività di consulenza e ricerca per organismi che si occupano in particolare di cooperazione internazionale. È una delle voci ravennati che abbiamo invitato sulle nostre pagine per immaginare il dopo coronavirus.
Spesso si sente dire che “niente sarà più come prima” finita la pandemia, che la crisi è un momento di catarsi che cambierà i valori, comportamenti e le relazioni tra le persone; ma probabilmente non li cambierà in meglio. Neanche usare la metafora della guerra ci aiuta a capire gli scenari futuri, perché non siamo in guerra, anzi il linguaggio bellico del covid 19 come nemico ci impedisce di comprendere cosa sta succedendo: un’emergenza sanitaria si trasforma in emergenza sociale ed economica non perché c’è un nemico ma perché siamo in un sistema fragile che non è in grado di farsi carico delle sue componenti più deboli da punto di vista della salute, dell’età, della malattia psichica, della fragilità sociale, della precarietà economica.
La pandemia ci mostra tulle le criticità del nostro sistema sociale e politico e gli strumenti con cui la affrontiamo sono in perfetta continuità con esse. E lo scenario futuro che si configura è un aggravarsi della crisi che già era in atto. La pandemia evidenzia ancora di più le disuguaglianze economiche, la precarizzazione del mercato del lavoro, l’esistenza di sacche di povertà soprattutto al sud; le misure emergenziali decise dal Governo cercano di tamponare gli esiti più tragici per chi si ritrova senza alcun reddito, ma anche fossero efficaci, non modificano strutturalmente la situazione pre covid19, che ritroveremo aggravata nel post.
Il sistema sanitario smantellato, frammentato, privatizzato, con poco personale e posti letto, non ha retto l’urto e si è rivelato fragile in due nodi cruciali, la prevenzione e le terapie intensive, ma difficilmente in futuro ci saranno le risorse per ripristinare un sistema sanitario pubblico ed equamente distribuito, né per sostenere l’occupazione dei tanti giovani medici e infermieri precari oggi catapultati nell’emergenza.
La limitazione delle libertà personali ed il controllo poliziesco dei comportamenti, la sorveglianza coi droni o il prospettato tracciamento digitale della mobilità, insieme all’adozione di procedure normative d’emergenza (DPCM) e alla riduzione del ruolo del Parlamento, aprono anche per il futuro uno scenario inquietante per la democrazia; dice il garante della privacy Soro che proporzionalità e ragionevolezza degli interventi oltre alla loro temporaneità sono la chiave per tornare alla normalità e per evitare il rischio di “scambiare per efficienza la rinuncia ad ogni libertà e la delega cieca all’algoritmo”.
Ma il rischio per il futuro è il diffondersi della già preesistente cultura della obbedienza volontaria per paura e insicurezza; come dice il filosofo M. Benasayag, l’epidemia è il sogno del tiranno.