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La maschera da sub che dà voce a medici e infermieri mentre li protegge dalla Covid

Un ingegnere ravennate tra le menti che hanno realizzato la C-Voice Mask, nata dalla collaborazione tra l’Università e l’azienda Siropack: «Prodotti e donati 160 pezzi, senza fini di lucro»

Prendi una maschera da mare, di quelle colorate con il boccaglio per guardare il fondale a riva a Punta Marina, e trasformala in una protezione per medici e infermieri contro il coronavirus consentendo a chi la indossa anche di essere sentito quando parla. È la sfida tentata e vinta da una cordata di accademici e imprenditori privati: a capofila il Dipartimento di Ingegneria industriale dell’Università di Bologna nel Campus di Forlì e la Siropack Italia di Cesenatico. Tra le menti che hanno ideato i progetti per i primi prototipi della C-Voice Mask c’è il ravennate Marco Troncossi, professore associato di Meccanica Applicata alle Macchine.

«Tutto è partito da quel vulcano di idee di Rocco De Lucia, titolare della Siropack Italia – spiega l’ingegnere –. Ci ha presentato l’idea e ci siamo messi al lavoro». Il dipartimento di Troncossi e l’azienda cesenaticense hanno una collaborazione consolidata da tempo che ha portato allo sviluppo del laboratorio di formazione e ricerca Tailor (Technology and Automation for Industry LabORatory). Questa volta la spinta è venuta dall’emergenza, dalla voglia di mettere le proprie capacità a disposizione della collettività.

La pensata iniziale, che distingue questo progetto da altri in Italia che hanno fatto ricorso al materiale da immersione, è stata quella di consentire la comunicazione a chi è dietro allo schermo: «In un primo momento avevamo pensato di intervenire sui caschi indossati da pazienti che hanno bisogno di ossigeno per aiutarli a parlare poi abbiamo abbandonato quella strada perché non avevamo accesso alle strumentazioni degli ospedali, era molto più delicato e abbiamo cominciato a vedere che il personale in corsia era in difficoltà per la mancanza di protezioni. E chi indossa certe protezioni fatica a farsi capire senza toglierle».

Si è partiti da un oggetto reperibile in commercio (in negozio le maschere viaggiano fra i 30 e i 40 euro) con caratteristiche strutturali già utili: «Di prassi l’obiettivo di chi fa ricerca accademica è quello di innovare progettando da zero cose che non esistono. Ma in questo caso c’era l’esigenza di fare anche presto per offrire prima possibile il risultato e poi non ha senso reinventare la ruota tutte le volte…». Le maschere da sub di quel tipo hanno un sistema piuttosto semplice di valvole e membrane di silicone che dividono i flussi di aria in entrata e in uscita: con la stampa in 3D sono stati realizzati degli alloggiamenti ermetici da posizionare al posto del boccaglio e in cui mettere un filtro per l’aria in ingresso mentre l’aria in uscita esce frontalmente senza filtraggio anche per non creare ostacoli al flusso e rendere più agevole la respirazione dell’operatore. Nella parte superiore poi è stata installata la piccola scatola di amplificazione che fa uscire la voce di chi la indossa (come si vede nel video in fondo a questa pagina), realizzata dal Laboratorio Lelli Odo & C. di Cesena.

Una precisazione è d’obbligo: «Non abbiamo richiesto le certificazioni che attestino la totale protezione dal rischio di contagio perché sono nominalmente previsti circa 6 mesi per la procedura, ma i risultati dei test condotti sono positivi e siamo quindi fiduciosi che i dispositivi funzionino correttamente e in sicurezza. Per come abbiamo realizzato l’oggetto – spiega ancora Troncossi – è chiaro che è indirizzato principalmente al personale medico che si trova a lavorare con pazienti positivi e quindi deve proteggersi da infezioni. Il filtro è fatto di tessuto-non-tessuto come le Ffp2 e Ffp3 che ci è stato fornito dall’azienda Farè di Varese». Una fornitura consegnata con una scena da film hollywoodiano: una staffetta della polizia stradale per accelerare i tempi.

Dopo i primi esemplari creati per testare la funzionalità, è partita la produzione di uno stock di 160 pezzi che verranno donati gratuitamente: 60 a spese dell’azienda e il resto a carico del Rotary Club di Cesena che ha coperto i costi di realizzazione senza rincari. Alla produzione di questo primo stock contribuiscono a titolo gratuito anche il Tacchificio Zanzani per la produzione dei componenti stampati in rapid prototyping, la Tranceria Gollinucci, nonché la Confartigianato che è stata fondamentale nell’interconnettere le aziende.

Anche una staffetta della polizia stradale ha dato un contributo per la realizzazione della C-Voice Mask

In quella parola “gratuito” c’è tutto il senso dell’impresa. Si è scelta una linea di totale solidarietà verso le istituzioni: non è stato depositato un brevetto e i disegni per la realizzazione sono a disposizione di chiunque voglia farne altre a patto che non ci sia scopo di lucro. Sono già arrivate richieste dal Brasile, da Porto Rico, dal Marocco. La produzione di Cesenatico è quasi completa e verranno distribuite a varie strutture sanitarie tra cui il Bufalini di Cesena, il Rizzoli di Bologna, l’Infermi di Rimini ma anche a Matera, a Fiumicino, a Pesaro. «Aspetteremo i loro feedback per capire come muoversi in futuro. Al momento non si possono fare previsioni. Potrebbero segnalarci alcuni aggiustamenti oppure evidenziare qualche criticità. Le prove fatte finora dicono che l’utilizzo è funzionale. In ogni caso è stato un bell’esempio di collaborazione fra realtà diverse, mi auguro che questo spirito rimanga anche in futuro quando non ci saranno pandemie da affrontare».