Anche due ravennati tra i cinquanta italiani bloccati dalla “quarantena” in Bolivia

Stanno bene ma non possono rientrare: nel Paese sudamericano gli aeroporti e le frontiere sono chiuse

Raffaello Guerrini

Raffaello Guerrini

Ci sono anche due ravennati tra i cinquanta italiani bloccati in Bolivia dalla “quarantena” forzata imposta dal governo, con controlli militari a ogni spostamento. Si tratta del 55enne Raffaello Guerrini – per cui a Ravenna il consigliere comunale del Gruppo Misto Emanuele Panizza chiede al sindaco di sollecitare la Farnesina – e del 28enne Simone Franceschelli, cervese.

Guerrini – ci racconta – ha vissuto per quattro anni e mezzo in Bolivia, aprendo con un socio una gelateria. La scorsa estate la decisione di tornare a Ravenna, per poi ripartire per un viaggio in Sudamerica in novembre e approfittarne per tornare in dicembre a salutare gli amici in Bolivia, dove (per la precisione a Santa Cruz) ora è bloccato. «Ma sto bene e rispetto agli altri italiani ho la fortuna di conoscere il posto e di avere amici che mi possono ospitare. Qui secondo i dati ufficiali, da prendere con le molle, si sono registrati 500 casi e una trentina di morti, ma la prova tampone e la sanità in generale sono molto deficitari. L’isolamento è totale e si può uscire solo una mattina alla settimana per comprare beni di prima necessità, che comunque non mancano». Guerrini avrebbe dovuto imbarcarsi su un aereo per Madrid (e poi per Bologna) il 17 marzo; volo rinviato inizialmente al 19 aprile e ora nuovamente cancellato. «Gli aeroporti sono stati chiusi, così come le frontiere terrestri. A questo punto dovremo aspettare la data di fine quarantena, al momento fissata al 30 aprile».

Simone Franceschelli

Simone Franceschelli

Anche perché, come ci dice invece Franceschelli, «dalla Farnesina e dall’Ambasciata nessuna notizia». Il ragazzo cervese è arrivato in Bolivia dal brasile a fine febbraio e dal 18 marzo è bloccato in un ostello a Copacabana (una cittadina sul lago Titicaca) insieme ad altri turisti («spagnoli, francesi, argentini soprattutto»). «Siamo fortunati – ci dice – perché i casi qui a Copacabana non sono molti e i controlli non troppo serrati».

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