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«Escluse dalle task force, le donne non si sono mai fermate»

La crisi vista dalla prospettiva di una femminista atipica, Luana Vacchi: «Le donne hanno creato alternative in una prospettiva giornaliera prima, durante e dopo la quarantena, nell’organizzare, curare, amministrare e trovare nuove parole»

Luana Vacchi, 49 anni, di professione insegnante, ama definirsi “femminista atipica”, è tra le socie attiviste alla Casa delle donne di Ravenna e dal 2015 nel coordinamento nazionale dell’Udi, Unione donne italiane. Le abbiamo chiesto di aiutarci a leggere questo periodo dal punto di vista femminile e femminista.

A fine aprile, nell’anno del Sars-Cov-2, il quadro della condizione femminile in Italia e nel mondo ha profili ben delineati. Quello che colpisce negli articoli di politica di genere è la somiglianza della vita delle donne ad ogni latitudine. Senza presunzione scientifica né di completezza, attraversando dati invisibili o che lanciano segnali di allarme e affidandoci ad una narrazione libera, proviamo a spaziare nel mondo, passando da un emisfero all’altro. «Le donne che già hanno vita difficile senza la pandemia, durante la pandemia hanno vita ancora più difficile» (Ilaria Capua, scienziata, direttrice di One Health).

Il governo britannico registra che nelle coppie eterosessuali è ancora possibile che sia la donna a guadagnare meno. Nei paesi occidentali, laddove si è cercato di quantificare i turni di lavoro fuori e dentro casa, risulta che le donne si sobbarcano gran parte della mole dei lavori domestici, dai più semplici ai più pesanti, anche se occupate in altre professioni. Lo stesso primato delle donne torna se si scorrono i lavori legati alla cura, all’assistenza, dalla sanità all’istruzione ai servizi. Questi settori sono tra l’altro gli ingranaggi funzionanti a pieno ritmo per mandare avanti la società dentro la teca di cristallo del tempo presente.

Sempre in maggioranza femminile è il lavoro smart: molte donne hanno scelto di diventare freelance per assecondare le proprie predisposizioni, ma anche per la necessità di avere un lavoro retribuito e la flessibilità di occuparsi della famiglia. Entrambe le categorie, oggi, vivono la difficoltà del lavoro da casa allargato a tutto il nucleo familiare, ma anche la contraddittorietà dei lavori agili, che in realtà significano temporanei, intermittenti e precari. Lo sanno bene le giovani generazioni, spesso altamente qualificate, che si trovano al termine di contratti oggi esauriti, non rinnovati, né rinnovabili.

Usciamo dalla dimensione occidentale e guardiamo ad altre recenti pandemie nei paesi africani e di che cosa ha significato per la parità di genere. «L’epidemia di ebola nell’Africa occidentale (2014) ha avuto un impatto sui redditi di tutti, ma il reddito degli uomini è tornato ai livelli precedenti all’epidemia più rapidamente di quanto non sia successo alle donne» (Julia Smith, Simon Fraser University). La storia economica delle donne, dunque, si ripete in loop nel tempo anche se si incrociano le geografie. Fa sempre bene ricordare l’appello di Simone De Beauvoir: «Non dimenticate mai che sarà sufficiente una crisi politica, economica o religiosa perché i diritti della donne siano rimessi in discussione.Questi diritti non sono mai acquisiti. Dovrete restare vigili durante tutto il corso della vostra vita».

Questa crisi sanitaria poi ha svestito i corpi, rivelando fragilità sconosciute. L’infezione da Covid-19 produce effetti diversi negli uomini e nelle donne. Queste ultime sono meno colpite degli uomini nelle fasce di età 0-20 e 60-80 anni. I dati della Cina sia sulla percentuale dei contagi, sia sul tasso di letalità sono confermati in tutti i paesi. La medicina di genere, così ancora poco indagata, dunque, si rivela quanto mai necessaria per comprendere l’evoluzione della specie umana.

Per contro il problema sanitario per le donne rimbalza tra le pareti domestiche, quando la casa non è nido, né porto sicuro. Di nuovo il dato è globale e stonato, dopo mesi di vita blindata, il segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres si è appellato ai governi perché intervengano per contrastare il drammatico aumento delle violenze domestiche durante la pandemia. I report degli operatori e delle oratrici dei centri antiviolenza superano i confini nazionali, le diverse culture, tradizioni e credi religiosi. Sono diminuiti i reati (furti, omicidi, ecc.) su base annua, mentre si registrano incrementi nei casi segnalati di comportamenti violenti e potenzialmente rischiosi. Il dato allarma se si considera quanto distanziamento sociale e autoisolamento rappresentino strumenti di coercizione e di controllo da parte degli aggressori su una vittima priva di spazio fisico e mentale per chiedere sostegno e aiuto.

In Italia, Giusi Fasano sul Corriere della Sera del 27 aprile, conta e racconta sette femminicidi a partire dal 21 febbraio 2020. La violenza sulle donne non si ferma, dunque, ma si corre il rischio di derubricarla a conseguenza della convivenza forzata. Sul corpo delle donne, inoltre, si gioca la partita impari di un sistema sanitario stravolto dall’emergenza epidemiologica che finisce per mettere in discussione, per esempio, i diritti alla contraccezione e all’interruzione volontaria di gravidanza. Ci sono luoghi poi dove l’assenza della copertura di base accentua la fragilità delle fasce più deboli della popolazione: negli Stati Uniti, per rimanere nei paesi ricchi, le donne afroamericane hanno più probabilità di complicazioni letali durante il parto rispetto alle donne bianche. «Conosco a memoria / occhi / che mi cancellano/ come un appuntamento indesiderato» (Audre Lorde, poeta, militante, afroamericana)

Il microcoscopio rende visibile all’occhio umano non solo il virus Rna a filamento positivo, simile a una corona, ma anche il meccanismo a spirale di una società costruita a immagine e somiglianza degli uomini, per “amor di semplificazione” (scrive Caroline Criado Perez, in “Invisibili Come il nostro mondo ignora le donne in ogni campo. Dati alla mano”) che in crisi si avvinghia su se stessa e ne stritola una parte.

In corsa verso fasi successive, quindi, più che mai ansiosi di voltare pagina, i gruppi di lavoro di esperti – team o task force che siano – brillano per l’assenza di nomi femminili o per contarne una minoranza della minoranza, mentre le donne non si sono mai fermate, operando sia dal basso sia dall’alto. Hanno creato alternative, in una prospettiva giornaliera prima, durante, dopo la quarantena, nell’organizzare, curare, amministrare, trovare nuove parole, per superare l’ineffabile ed uscire dall’abuso di metafore belliche. Ascoltate le narrazioni di madri, madri single, amiche, sorelle, mogli, amanti, vicine, conoscenti. La filosofa femminista Joan Tronto parla di “democrazia della cura”, che richiede linee di investimenti per proteggere una vita umana piena, che includono l’educazione, i servizi per l’infanzia, il contrasto alla violenza sulle donne, ma anche le tutele occupazionali, il reddito di base, la protezione ambientale.

Per concludere, senza sapere bene, però, di cosa voglia dire “per dopo”, mettiamo in pratica questa attitudine a costruire legami sociali e questa competenza del prendersi cura per ridefinire i compiti della collettività, fatta di corpi, interconnessioni, bisogni, differenze, consapevoli dei legami che ci uniscono, senza la frenesia di un ritorno monocromo al come prima.