Il primario del reparto Malattie infettive di Ravenna: «Oggi si trasmette di più fra i giovani e ha effetti meno gravi su un fisico in buone condizioni». La previsione: «I servizi sanitari dovranno essere pronti a molti scenari ma non credo tornerà un lockdown»
Dottor Bassi, a suo giudizio il Sars-Cov-2 non è mutato per ora, ma potrebbe farlo in futuro?
«Sì, è un organismo vivente e come tale può modificarsi».
L’andamento dei contagi dice che come numeri siamo tornati a livelli di mesi fa ma non le stesse vittime. Qualcuno si sente autorizzato a ribadire che è stato fatto allarmismo eccessivo per un’influenza, che non serviva chiudere tutto. È così?
«Si tratta di scelte. L’Italia ha scelto la salute prima di tutto, il Regno Unito ad esempio ha scelto l’economia prima di tutto. Io credo che sia stato giusto chiudere tutto in quel momento, anzi forse avremmo dovuto essere più rigidi con le persone in arrivo dalla Cina con voli indiretti».
Ora la preoccupazione è rivolta all’autunno…
«Torneranno le scuole e tutto il tessuto produttivo. Nessuno sa lo scenario che si verrà a creare, dobbiamo essere pronti con i servizi ospedalieri: il grosso del lavoro sarà in mano all’igiene pubblica che a Ravenna è stata spettacolare nel fare un tracciamento dei possibili focolai, poi ci siamo noi ospedalieri che dovremo essere pronti a un apri-chiudi di servizi che vadano incontro a tutti i possibili scenari: i sospetti, gli accertati, i paucisintomatici (casi con sintomi inferiori allo standard, ndr)».
Potrebbe tornare il lockdown?
«Non credo. Avremo focolai, quanti non è ancora possibile prevederlo, ma non finiremo nella situazione di febbraio-marzo perché abbiamo una preparazione e una organizzazione diverse».
Avete capacità e farmaci in più?
«Sì. Essenzialmente c’è una sola terapia antivirale ma è cambiata la precocità diagnostica. All’inizio sapevamo nulla del virus, anche perché dalla Cina non è arrivata molta trasparenza, ma ora riusciamo ad agire in anticipo sui possibili danni della malattia e così interrompiamo la cascata».
Il 24 agosto è partita la sperimentazione del vaccino allo Spallanzani di Roma. Quando è realistico aspettarsi la distribuzione?
«Non prima di un anno».
Oggi i contagi si propagano di più fra i giovani ma per un corpo in salute l’effetto è più leggero. Qual è la linea da tenere verso questa fascia di popolazione?
«Evitiamo il terrorismo, evitiamo di spaventare i ragazzi perché poi si ottiene l’effetto contrario facendo innescare una voglia di sfida, di ribellione: li sento a volte i discorsi dei ragazzini che sembrano quasi voler fare apposta. D’altra parte è comprensibile la loro minore attenzione alle precauzioni, tutti sappiamo che a vent’anni siamo stati meno prudenti: il mio consiglio è di coinvolgerli in modo tranquillo con un approccio educativo che non riunci al tentativo di informare i ragazzi dei rischi».
Distanziamento, mascherine, mani igienizzate: restano sempre valide queste tre semplici regole?
«Confermo. E posso dire che funzionano: ho passato tre mesi tra i malati applicandole e non mi sono infettato. Se fossero applicate in maniera scrupolosa anche a scuola sono convinto che i contagi saranno contenuti».
Dopo sei mesi di contrasto al virus si può fare un quadro dei sintomi più caratteristici?
«Nella maggioranza dei casi non si differenzia dalle normali influenze stagionali che danno febbricola e disturbi dell’apparato respiratorio alto. A volte si manifestano altri sintomi che però compaiono anche in altre influenze. Finora l’unico tratto che pare davvero distintivo è la perdita di gusto e olfatto».