«Chi rifiuta di vaccinarsi potrà essere sospeso dal lavoro»

L’analisi di Roberto Riverso, consigliere giuridico del ministro e per anni giudice del lavoro a Ravenna: «Non importa che sia obbligatorio o meno, la legge non lascia spazio alla discrezionalità»

Roberto RiversoI lavoratori potranno essere obbligati a vaccinarsi? E nel caso fossero contrari, rischieranno il licenziamento? L’arrivo del tanto atteso vaccino anti Covid avrà inevitabilmente delle ripercussioni anche sui rapporti di lavoro e il dibattito a livello nazionale è già entrato nel vivo.

Per cercare di chiarire (anche) i nostri dubbi, siamo ricorsi a un parere autorevole, quello di Roberto Riverso, per anni giudice del lavoro al tribunale di Ravenna, poi in Cassazione ed ora consigliere giuridico del Ministro del lavoro.

«La premessa fondamentale da cui partire – sono le sue parole – è che il rischio “sociale” Covid si è fatto rischio professionale, riconosciuto come tale dal legislatore. Il datore di lavoro, per legge garante della salute, non può certo disinteressarsi del tema vaccino, ma deve richiederne l’assunzione come misura di prevenzione e protezione dei lavoratori e dei terzi che si trovano nell’ambiente di lavoro».

Che peso ha il fatto che al momento non sia però prevista per legge l’obbligatorietà? «Certo – continua Riverso –, una legge ad hoc, che obblighi tutti, sarebbe auspicabile, ma va ricordato che nessuno, in fondo, può mai essere obbligato “fisicamente” a fare un vaccino, neppure nel caso di quelli obbligatori. Il tema del vaccino incrocia, oltre al principio di prevenzione, quello di solidarietà che, oltre a porre limiti alla libertà individuale, richiede una prova di maturità collettiva con la ricerca di un orizzonte comune per l’elevazione materiale e spirituale della comunità».

«La distinzione tra vaccini obbligatori e vaccini solo raccomandati – continua – non esiste comunque a livello della affidabilità scientifica. Anche il Testo Unico sulla Sicurezza sul Lavoro parla solo di vaccini “efficaci”. Non esiste poi sul piano scientifico perché i vaccini raccomandati non sono meno affidabili e necessari di quelli obbligatori. Cambia solo lo strumento che il legislatore utilizza a seconda dei periodi per ottenere il risultato di adesione al vaccino prefisso. E infine, a mio giudizio, la distinzione non esiste nel rapporto di lavoro a fronte di una pandemia».

Il lavoratore deve quindi vaccinarsi, qualora lo richieda il datore? «Di certo non può dire “me ne frego” e ritenersi libero (come gli altri cittadini) di non prestare la propria necessaria collaborazione nell’attuazione della prevenzione, qui assicurata dalla vaccinazione, senza alcun valido motivo. Non può in nome del proprio diritto costituzionalmente garantito alla libertà di cura, decidere di mettere a repentaglio l’incolumità altrui; perché questa libertà non può esistere».

In sintesi – assicura Riverso – nel rapporto di lavoro la legge non lascia spazio alla discrezionalità del datore, ma neanche a quella del lavoratore. «Tutte le misure necessarie per tutelare la sicurezza vanno adottate e osservate». E non importa, come detto, che il vaccino sia obbligatorio o meno. «L’ordinamento obbliga il lavoratore a prendersi cura della salute altrui e a considerare l’effetto nocivo della proprie omissioni: quando il rischio esista, il vaccino sia disponibile e sia efficace, come in questo caso è dimostrato da tutte le Agenzie preposte».

E quali possono essere le conseguenze per il lavoratore? «La mancanza della vaccinazione richiesta dal datore di lavoro potrebbe sicuramente comportare, attraverso la valutazione del medico competente, una inidoneità oggettiva del lavoratore rispetto all’ambiente di lavoro; e inoltre, secondo un’altra tesi, una violazione degli obblighi legali incombenti sul lavoratore in base al contratto. Ciò sicuramente nel caso di rischio biologico specifico (laboratori, ospedali e ambienti assimilabili) ma anche in ogni altro caso di rischio qualificato. Questo porterebbe a legittimare anche una reazione disciplinare che può comportare una sanzione di diversa gravità, a seconda della reale situazione di fatto e dei diversi contesti aziendali».

«Non credo però che, di primo acchito, il licenziamento di cui si è molto parlato in questi giorni possa ritenersi giustificato – conclude Riverso –; credo che sia più appropriata invece la sospensione del rapporto, una misura che potrebbe consentire al lavoratore di sanare la situazione con la vaccinazione. In ogni caso il datore di lavoro è tenuto a verificare se vi siano alternative lavorative, come per esempio lo smart working o modalità esecutive che portino comunque a scongiurare ogni rischio. Il licenziamento potrebbe essere irrogato solo come ultima misura estrema quando, in seguito a una perdurante inottemperanza nella somministrazione del vaccino, sia conclamata l’inidoneità del lavoratore rispetto al lavoro o potrebbe dirsi verificato il presupposto della lesione irreversibile della fiducia, senza valida giustificazione».

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