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L’esperto dell’Iss: «Il vaccino Astrazeneca contestato per ignoranza scientifica»

Il ravennate Giacomo Farneti fa parte della task force Covid-19 istituita l’anno scorso dal Governo: «Immunità di gregge? Solo a fine anno»

Giacomo Farneti

Il 34enne ravennate Giacomo Farneti, responsabile sanitario di Santa Teresa, è membro della task force Covid 19 istituita l’anno scorso dal ministro per l’Innovazione tecnologica in collaborazione con quello della Salute e l’Istituto Superiore della Sanità, per cui tra l’altro svolge attività di ricerca e monitoraggio.

Lo abbiamo intervistato per fare il punto sulla campagna vaccinale.

Sul sito dell’Iss, con cui collabora, è presente una vera e propria guida sulle fake news diffuse in questi mesi sui vaccini. Cosa ne pensa di questo tema?
«Sono convinto che tutte le fake news sul tema Covid-19 e vaccini siano state create e costantemente alimentate dalla disinformazione (intesa come erogazione di informazioni quasi mai complete, ma spesso “ritagliate” ad hoc al solo scopo di raccogliere pubblico) e dall’assenza di cultura. Un’ignoranza intesa come non-conoscenza ma soprattutto come scarsissima capacità – e intenzione – di rendersi consapevoli e conseguentemente responsabili delle nostre scelte. Un mio vecchio maestro diceva che “gli italiani sono un popolo contemporaneo, perché senza memoria”».

Ed ecco perché le fake news funzionano…
«Paradossalmente le persone hanno bisogno – comprensibilmente – di sicurezza, di certezze. Ma spesso dimenticano la storia, da dove veniamo e soprattutto come siamo arrivati a questo punto. Le scelte in ambito sanitario, di prevenzione e di cura, sono state storicamente drastiche, talvolta penalizzanti, ma il rapporto tra rischio e beneficio è estremamente reale quando si parla di farmaci. Siamo riusciti a eliminare il vaiolo con un vaccino pericolosissimo – 1 caso grave ogni 10mila mi pare -, il vaccino antipolio provocava poliomelite – credo 1 caso ogni 500mila – eppure hanno aderito tutti. A mio avviso, l’unico vero modo per avere chiarezza è attraverso l’impegno unico e capillare delle istituzioni e dei canali comunicativi, evitando così “isterie” di massa».

A proposito di isterie, come valuta le sospensioni ai danni del vaccino AstraZeneca?
«È stato “messo in croce” per pura ignoranza scientifica. Il vero problema è rappresentato dal fatto che le agenzie e le organizzazioni che associano gli effetti collaterali al solo vaccino AstraZeneca non sono indipendenti e l’unico “difetto” che ha questo vaccino è forse il costo: 1,78 euro contro i 12 del Biontech/Pfizer o i 18 dollari del Moderna. Nessuno vuole risparmiare sulla salute dei cittadini, ma occorre conoscere bene i dati scientifici prima di emettere sentenze».

Da addetto ai lavori, ci spiega esattamente cos’è successo in questi giorni con AstraZeneca? E perché consigliarlo in Italia solo agli over 60?
«Il comitato tecnico scientifico dell’Ema ha eseguito un’analisi approfondita sui casi di trombosi rilevati e la combinazione caratterizzata da trombi e livelli bassi di piastrine che è stata segnalata rimane estremamente rara e i benefici della vaccinazione superano considerevolmente i rischi degli effetti indesiderati. La scelta di indirizzare questo vaccino alle persone di età superiore a 60 anni è data unicamente dal fatto che il basso rischio di reazioni avverse a fronte di un’elevata mortalità nelle ormai note fasce a rischio (pazienti con patologie pregresse preesistenti e età avanzata) rappresentano una raccomandazione a quella stessa fascia di cittadini. Per questo motivo, a mio avviso, la campagna vaccinale non verrà “limitata” data la percentuale di italiani con età superiore a 60 anni».

Lei quindi, in linea teorica, si farebbe somministrare comunque anche AstraZeneca.
«Io mi sono vaccinato il 6 gennaio con Pfizer ma personalmente accetterei ed esprimerei il consenso di fronte a qualsiasi vaccino esistente. In questo momento la soluzione rimane, a mio parere, solo una: responsabilizzarci e, con fiducia nella scienza, essere consapevoli dell’importanza della vaccinazione».

E come si risponde, da scienziati, a chi resta spaventato per le reazioni avverse?
«In farmacologia sono sempre esistite e le statistiche correlate ai rischi-benefici sono e rimarranno sempre il punto cardine di ogni terapia. Esistono farmaci per curare la prostata che hanno come “effetto collaterale” una maggiore crescita dei capelli, un farmaco antidepressivo molto noto può causare erezione spontanea negli uomini, un farmaco topico contro l’acne può causare al contrario depressione o addirittura psicosi. La famosissima tachipirina così come l’aspirina hanno effetti collaterali noti gravissimi, ma non per questo le persone hanno smesso di assumerle. Prendere un aereo può causare complicanze fatali di trombosi allo 0,05 percento dei viaggiatori ma non per questo abbiamo paura di volare».

Dati alla mano, quali sono i rischi concreti dei vaccini?
«In italia abbiamo 3,5 milioni di dosi somministrate e un rapporto di 0,0003 percento di decessi (tra l’altro non si considerano le comorbilità preesistenti negli ultra 80enni o le patologie non note ai pazienti stessi) che possono assolutamente contribuire agli effetti collaterali (anche se statisticamente non vengono comprese nei dati) o di 0,002 percento di effetti collaterali gravi: credo che meno rischi di così non sia possibile».

È possibile invece avere qualche risposta in più sull’efficacia dei vaccini? E su quanto potrebbe durare nel tempo la copertura?
«I vaccini attualmente esistenti non offrono l’immunità totale. Purtroppo i dati epidemiologici e scientifici che quotidianamente vengono pubblicati ci indicano una mutazione costante dell’infezione, non sempre in peggio. Il virus Sars-Cov-2 non è un agente patogeno “immobile” esattamente come il virus influenzale stagionale. A mio parere, dai dati pubblicati finora, si evince la previsione di una vaccinazione annuale che offra una copertura ottimale. Io stesso ho eseguito test ad operatori sanitari che si sono offerti disponibili ad eseguire l’analisi per il dosaggio degli antircorpi IgG neutralizzanti e i dati raccolti, seppur in minima parte, fanno riflettere: ad esempio, due pazienti dello stesso sesso – in assenza di patologie note – dopo la seconda dose di vaccino ricevuto hanno sviluppato anticorpi in quantità estremamente differenti (la prima 7.400 unità/ml, la seconda più di 220.000) e allo stesso tempo un’operatrice che aveva ricevuto la prima dose, contagiata e poi guarita, ha sviluppato una quantità di anticorpi inferiore a 5.000 unità/ml. Con questo non si deve assolutamente considerare il vaccino inutile o inefficace ma occorre considerare ogni soggetto vaccinato nella sua unicità fisiologica e considerare anche i guariti Covid come pazienti da vaccinare».

I dati dei contagi e dei morti sono ancora elevati, a distanza di alcuni mesi dall’inizio della campagna di vaccinazione: quando si potranno vedere i primi effetti concreti?
«In realtà sono già visibili e sotto i nostri occhi da tempo. L’unico problema è rappresentato dal fatto che si possono raccogliere “facilmente” dati riguardo le nuove positività ma con meno facilità si può calcolare il mancato contagio di un paziente».

In Israele con il 55 percento dei vaccinati sembra si stia tornando alla normalità, o quasi. Quando si potrebbe riuscire a raggiungere un risultato del genere in Italia?
«Raggiungere la “normalità” in realtà significherebbe avere il 100 percento della popolazione vaccinata e, per questo, “sicura” da un punto di vista epidemiologico. Occorre tuttavia considerare un dato fondamentale: l’indice e valore R0, ovvero il tasso di riproduttività della malattia che per questa pandemia non è stato possibile calcolare. Detto questo, la potenziale riapertura non può essere legata alle vaccinazioni ma all’andamento dell’epidemia, ovvero più vaccini e meno contagi. Come esempio si può considerare il crollo di positività nel personale sanitario dopo la vaccinazione di massa».

E quando riusciremo allora a raggiungere la cosiddetta immunità di gregge?
«Di certo solo attraverso un impegno e uno sforzo maggiore di quello fatto finora, anche se ritengo utile impegnarci prima di tutto nella vaccinazione come scopo preventivo, nei confronti di determinati tipi di pazienti. In considerazione del fatto che per questa pandemia si potrà ottenere l’immunità dopo la somministrazione di entrambe le dosi (per i vaccini che le prevedono) è possibile che occorra attendere la fine dell’anno».

Saranno sufficienti le dosi?
«Anche al netto della nuova fornitura annunciata da Pfizer, dalla tabella del ministero emerge con chiarezza che in teoria, entro il quarto trimestre di quest’anno, potremmo essere effettivamente in grado di vaccinare tutti i 51 milioni di italiani over 16, contando su 40,1 milioni di dosi di AstraZeneca (sempre se la popolazione non si rifiuta), 40,5 milioni di Pfizer e 21 milioni di Moderna, per un totale di oltre 100 milioni di dosi bastanti per le due immunizzazioni».

Sarebbe stato giusto, come dice provocatoriamente qualcuno, partire con le vaccinazioni da chi lavora, da chi si muove, proteggendo solo indirettamente i più anziani?
«La creazione di un piano vaccinale nazionale implica una quantità di elementi differenti e fondamentali. I primi dati scientifici pubblicati ad inizio 2020 dimostravano una altissima percentuale di contagiati tra i pazienti con età superiore a 70 anni, che ovviamente sviluppavano una sintomatologia grave e complessa. La mutazione del virus, se si comprendono le famose “varianti”, ha implicato recentemente l’aumento dei contagi anche nella popolazione giovane. Questo però non annulla le considerazioni in merito al fatto che in italia la maggior parte della popolazione ha un età superiore a 60 anni e questo – accompagnato dalle comorbilità (la coesistenza di più patologie nello stesso soggetto, ndr) preesistenti o potenziali proprie di un anziano – determina l’importanza di vaccinare in maniera prioritaria la popolazione con l’età avanzata».

Cosa ne pensa del dibattito sulle riaperture? E sulla ripartenza della scuola in presenza?
«Il mio ruolo sanitario esula da competenze organizzative specifiche in tema di riaperture di esercizi commerciali o scuole. Rimango fermo del parere che – in assenza di una reale e concreta cultura ed educazione sanitaria – avremo sempre e continuamente problematiche differenti sotto tutti gli aspetti della nostra vita. Le scuole e in generale l’istruzione rappresentano un punto cardine della nostra società, forse come gli ospedali e forse come gli esercizi commerciali…».