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L’esperto dell’Iss: «L’indice Rt ora è meno rilevante. Meglio monitorare i ricoveri»

 

di Giacomo Farneti *

Giacomo Farneti

Dopo l’adozione delle misure di contenimento dell’infezione da SARS-COV-2, il tasso di contagio è significativamente diminuito in tutta Italia. Gli indici R0 ed RT sono indicatori grazie ai quali è possibile definire il tasso di contagiosità di un malattia. Se R0 indica la potenziale trasmissibilità di una malattia infettiva nella sua fase iniziale in una popolazione suscettibile, RT descrive invece il tasso di contagiosità dopo l’applicazione delle misure atte a contenere il diffondersi della malattia.

Ma quali sono le variabili che incidono sul parametro RT? Intuitivamente è apprezzabile che il valore RT di un soggetto positivo sia direttamente proporzionale al numero di contatti per giorno (più persone si incontrano, più persone si infettano), alla durata della sua fase di contagiosità (più a lungo si rimane contagiosi, più è alto il numero delle persone che si contagiano), alla probabilità di trasmissione dell’infezione per singolo contatto.

L’indice RT tuttavia da solo non basta innanzitutto perché, per quanto la sorveglianza sia attiva e costante, durante una pandemia così estesa i valori raccolti oggi rappresentano lo sviluppo di una situazione passata, di circa due settimane prima. In secondo luogo questo valore di riferimento può creare molta confusione se non viene analizzato con criterio: parallelamente all’indice RT occorre conoscere altri dati, come ad esempio il numero aggiornato dei soggetti positivi attivi rispetto alla popolazione totale.

Il vero problema nasce quando l’indice RT maggiore di 1 si manifesta in presenza di un gran numero di positivi asintomatici. In Italia, il dato dei positivi rimane ancora troppo elevato: con circa 380 mila soggetti positivi (all’11 maggio, ndr), se l’indice RT tornasse sopra 1 rischieremmo una impennata dei contagi. È scientifico. Se dovessimo fare un esempio semplice ed esplicativo che prendesse in considerazione un recente evento pubblico, potremmo immaginare una piazza gremita di persone: ipotizzando che in quella piazza si trovino 10/20 soggetti positivi asintomatici su 1.000, incuranti delle disposizioni in materia di contenimento e contrasto alla diffusione del virus, in quel momento la trasmissione del virus avrebbe un indice di contagio estremamente più alto di 1.

Dobbiamo però considerare il fatto che possano coesistere indicatori di segno diversi tra loro, quasi opposti, che rappresentino lo stesso fenomeno. Confrontare i dati della diffusione di un virus come SARSCOV-2 è estremamente difficile: le evidenze scientifiche spesso sono in contrasto tra loro. Non è possibile analizzare i dati se vengono continuamente presi e studiati “a compartimenti stagni” ma è anche statisticamente scorretto confrontare tutti i dati in maniera generale paragonandoli a periodi e contesti differenti. Basti pensare, ad esempio, all’indice di mortalità mondiale: in Italia si definisce – tra i vari criteri – un decesso per COVID-19 il decesso occorso in un paziente già confermato positivo oppure in un paziente con un quadro clinico e strumentale suggestivo di COVID.19. In Russia, per dichiarare un soggetto deceduto a causa del virus SARS-COV-2 occorre necessariamente avere un’evidenza autoptica. Ecco spiegato il motivo per il quale questo ultimo Paese risulta avere un indice di mortalità così basso: per ovvi motivi organizzativi, gestionali e di tempo non è possibile eseguire l’autopsia a tutti i soggetti deceduti da inizio 2020.

Fortunatamente la campagna vaccinale che ha raggiunto, almeno con la prima dose, il 26% degli italiani, assieme al 12% dei soggetti che hanno completato il ciclo vaccinale più la stima dei soggetti guariti (16% circa) fa sì che oltre il 50% della popolazione sia in tutto o in parte protetta. L’indice RT, in una situazione in cui la percentuale dei vaccinati sta incrementando significativamente, assume un valore estremamente relativo. È un dato di fatto: più soggetti vengono vaccinati e minore sarà l’indice di contagio. Nei prossimi mesi potremmo assistere ad un progressivo calo dell’indice RT grazie alla campagna vaccinale nazionale e di conseguenza assisteremo ad una riduzione, seppur più lenta, del numero dei ricoveri e dei decessi.

Tuttavia non dobbiamo farci ingannare dal solo dato fornito dall’indice RT: se non consideriamo altri indici come quello di prevalenza, di incidenza, l’indice di saturazione dei posti letto in terapia intensiva e i decessi potremmo ritrovarci tra alcune settimane con un rialzo del numero dei contagi ed ulteriori conseguenti restrizioni. Alcuni colleghi autorevoli insieme ad alcuni politici (forse meno autorevoli) ritengono di poter fondare tutte le decisioni ed assegnare i colori alle Regioni unicamente attraverso il parametro RT; rilevando la quota dei soli casi sintomatici, l’indice di contagio è, di fatto, un indicatore che descrive l’accelerazione – o decelerazione – della pandemia. Nonostante questo, i parametri su cui decidere di assegnare restrizioni alle Regioni devono tenere conto di diversi aspetti e di indici RT “alternativi” come il numero dei ricoveri a partire dall’ingresso in terapia intensiva, un parametro accurato che non dipende unicamente dai tamponi effettuati. Queste informazioni devono aiutarci ad essere quotidianamente consapevoli e responsabili delle nostre scelte, un invito sia per i cittadini che per i governanti, perché purtroppo di responsabilità in giro se ne vede ben poca.

* ricercatore ravennate, responsabile sanitario di Santa Teresa e membro della task force governativa sul Covid 19, esegue studi e ricerche per l’Istituto Superiore della Sanità