Russia vs Ucraina, persone e paesi così lontani, così vicini

La tragedia ai confini d’Europa nelle parole di Tania, originaria di Donetsk, nel Donbass, immigrata a Ravenna una decina di anni fa. Testimonianze a distanza di 8 anni

Donbass Ponte Ferrovia

Viadotto ferroviario bombardato a Donetsk nella regione del Donbass in Ucraina (2014, foto di Maxim Zmeyev/Reuters)

Ripubblichiamo dai nostri archivi – con un appendice aggiornata proprio a ieri 25 febbraio – un’illuminante testimonianza sulla tragedia del conflitto in Ucraina raccolta dalla nostra collaboratrice Marina Mannucci otto anni fa (sulla rivista “Casa Premium”, sezione “Città e società”, febbraio 2015).

In una sera d’autunno del 2014 mi reco a casa di Tania, una ragazza ucraina che vive a Ravenna da alcuni anni. Ho deciso di intervistarla dopo aver ascoltato qualche stralcio della sua vita e di quello che stava succedendo nel suo paese. E così sono pronta ad ascoltare la storia di Tania e di sua madre con la quale condivide un appartamento in città […].

Nata in Russia, la mamma di Tania, quando compie 15 anni si trasferisce a studiare in Ucraina dove vivono le sue zie, si diploma ragioniera, comincia a lavorare, si sposa con un uomo ucraino e nascono Serghei e Tania. L’8 dicembre del 1991 l’Unione Sovietica viene ufficialmente sciolta; il primo gennaio 1992, nascono le prime nazioni indipendenti di Russia, Ucraina e Bielorussia. La “macro storia” incide sulla “micro storia” della mamma di Tania; i mezzi di sostentamento non sono più sufficienti per mandare avanti la famiglia, e nel 1999 decide di partire in corriera e venire in Italia in cerca di lavoro (Tania ha solo nove anni). Giunge a Napoli, dove non conosce nessuno; le viene offerto di trovarle un lavoro in cambio degli ultimi soldi rimasti. Accetta e dovrà aspettare tre giorni, senza mangiare, bevendo alle fontane pubbliche e dormendo in pullman prima di iniziare a lavorare presso un’anziana signora. Di quel periodo ricorda che tutte le notti si chiudeva in bagno e piangeva.
Nel frattempo le scade il visto di soggiorno e per alcuni anni non è in grado di rinnovarlo; riesce perciò a tornare a casa per rivedere i suoi cari solo dopo quattro anni; nel frattempo i figli sono cresciuti e fatica a riconoscerli.

Sono tre anni che Tania, ormai adulta, l’ha raggiunta in Italia ed ora vivono insieme e, a guardarle e vederle muoversi in questa casa di Ravenna, si avverte quanto questo ricongiungimento sia benefico per entrambe.
«Ho perso della mia vita le cose migliori ma almeno ho fatto qualcosa per i miei figli; hanno potuto studiare all’Università e sono riuscita a comprare loro una casa; ora però, con quello che sta succedendo in Ucraina, c’è il rischio che vengano bombardate».
Questa riflessione ci porta a spostare i discorsi sulle ultime vicende avvenute in Ucraina da quando, nell’aprile 2014, a seguito dell’accordo di libero scambio con l’Unione Europea osteggiato dall’allora presidente filo-russo Yanukovich, poi destituito, la regione orientale del Donbass è stata travolta da un movimento secessionista e dalla reazione del governo di Kiev. A partire dalla secessione della penisola della Crimea, sul Mar Nero, che si è dichiarata repubblica indipendente, legata alla federazione russa, ma non riconosciuta né dal governo ucraino né da gran parte della comunità mondiale.

L’Ucraina, il più grande paese d’Europa per estensione geografica, una straordinaria terra di confine tra Est e Ovest, è luogo pressoché sconosciuto agli italiani. Spesso confusa con la Russia, è una nazione ricca di storia in cui s’incontrano e dialogano culture composite (ebrea, polacca, armena, tatara, asburgica); il Bacino del Donec, noto anche come Donbass, è una delle sue regioni.
Il toponimo “Donbass” nasce verso la fine del XIX secolo, quando nell’area furono scoperti numerosi giacimenti di carbone e fu coniato questo termine, per indicare la nuova regione carbonifera nella sua interezza. Questo territorio, che è il più ricco dell’Ucraina ed in cui si trovano le autoproclamate Repubbliche popolari di Lugansk e di Donetsk, versa ora nella più totale devastazione. Muoversi nel Donbass è diventato molto difficile per i numerosi posti di blocco che continuamente sbarrano il transito oltre che per il costante pericolo di finire sotto il tiro dei cecchini. La città di Lugansk è semideserta: scarseggiano gas, acqua, energia elettrica, generi alimentari e medicinali; molti dei suoi abitanti si sono rifugiati in Russia in campi profughi o presso parenti. Anche nella città di Donetsk la situazione è critica; nonostante nella zona centrale, nei dintorni del Palazzo dell’Amministrazione regionale e nella zona orientale, la vita sia ripresa, una vera tregua non c’è mai stata.
I combattenti di Lugansk e di Donetsk sono volontari e la maggior parte di loro è costituita da ex minatori che ritengono che la guerra non si risolverà presto, convinti però che indietro non si torna. Il loro obiettivo è la creazione di una nuova entità statale, la “Novorossia”, che dovrebbe includere, oltre le due Repubbliche autonome di Lugansk e di Donetsk, anche il territorio da Kharkov fino a Odessa.

Tania e sua madre mi parlano anche di un problema molto sentito da filorusse/i rispetto all’uso della lingua d’origine. L’Ucraina è divisa in due macroregioni: un est russofono e industrializzato, un ovest ucrainofono prevalentemente agricolo. Negli ultimi anni una delle questioni che ha influenzato il dibattito politico in Ucraina è stata la volontà o meno di adottare il russo come seconda lingua ufficiale. L’ucraino è oggi, ai sensi della Costituzione, l’unica lingua di Stato, nonostante il paese sia prevalentemente bilingue – un quinto dei cittadini ucraini, infatti, parla il russo. L’elemento linguistico s’incrocia con aspetti territoriali e politici; la questione è quindi geopolitica e coinvolge l’eredità sovietica, la divisione est-ovest e le diverse accezioni dell’identità nazionale. Le distinzioni politico-culturali, le differenti economie e il problema linguistico hanno fatto emergere le identità regionali nel Donbass e, ad ovest, in Transcarpazia, con conseguenti richieste di autonomia.

Mi spiegano che le distinzioni tra i partiti politici ucraini non sono legate solo a motivi ideologici, ma anche a linee di consenso che seguono problematiche territoriali, economiche (entrambi gli schieramenti sono legati a diverse oligarchie) e linguistiche.
Credo che una conoscenza approfondita della storia dell’Ucraina ci aiuti a comprendere meglio le profonde divisioni sia culturali che politiche di questo paese. Le regioni orientali dell’attuale Ucraina hanno storicamente fatto parte dell’impero russo per secoli, subendone profondamente la penetrazione della lingua e della cultura.
Viceversa alcune regioni occidentali, oggi il perno del nazionalismo ucraino, sono divenute parte dell’Unione Sovietica solo dopo la Seconda guerra mondiale, avendo fatto parte in precedenza dell’impero austro-ungarico e poi della Polonia, della Cecoslovacchia, dell’Ungheria e della Romania.

«Queste differenze culturali emergono anche dai testi giuridici, nei quali troviamo contraddizioni che derivano proprio dallo scontrarsi della concezione dell’Ucraina come Stato nazionale con la realtà multietnica che presenta. Non a caso, il processo di adozione della Costituzione è stato il più lungo fra le repubbliche ex sovietiche» (Simone Stefan, La difficile partita della lingua russa in Ucraina, vedi articolo sulla rivista Limes ). Secondo Ryszard Kapuściński l’immagine che abbiamo del mondo dipenderebbe anche dalle strutture della lingua madre; di qui la fatica del dialogo tra individui provenienti da diverse lingue madri, che li spinge a vedere il mondo in modo diverso [..].

Guerra Ucraina Russia Ultime NotizieOtto anni dopo…

25 febbraio 2022. Ho pensato di chiedere a Tania di rivederci per ascoltare le sue parole riguardo al conflitto in corso fra Russia e Ucraina. Nel salutarmi, con molta apprensione, ci tiene però immediatamente a chiarire che non ha niente da dire e che lei è per la pace.
La tranquillizzo (comprendo i suoi timori) e le dico che non parleremo di ideologie e di leader e ci terremo ben distanti da definizioni dicotomiche del mondo ma che i suoi racconti saranno utili per analizzare e capire quello che sta succedendo dal punto di vista di chi subisce il conflitto.

Rassicurata, Tania mi racconta che i suoi parenti, il padre, il fratello, la nuora, il nipote e le sue amiche che si trovano nel territorio di Donetsk, nella regione del Donbass, stanno vivendo questi giorni con un «gran disordine di pensieri»; hanno paura. Le scuole sono chiuse, stanno chiudendo i negozi e gli alimentari sono presi d’assalto. Il lavoro nelle miniere di carbone è fermo e c’è il pericolo che un disastro ambientale possa ricadere sulla popolazione civile e minacciarne la salute. A preoccupare non sono solo le miniere di superficie, esposte alla pioggia e al vento, ma soprattutto quelle sotterranee profonde in media tra 720 e 1.380 metri che sono esposte ad allagamenti. Per limitare questi rischi sarebbe necessario che l’acqua venisse pompata regolarmente via dalle miniere ma il conflitto sta rendendo difficile una gestione attiva e la manutenzione delle infrastrutture nelle quali ormai la sorveglianza è quasi nulla. Le conseguenze di possibili inondazioni sarebbero catastrofiche per la regione: inquinamento dell’acqua potabile, cedimento del suolo e conseguente distruzione delle infrastrutture.

In questi giorni, al suono delle sirene, è iniziato l’esodo dei civili con l’evacuazione in Russia di donne, anziani e bambini ed è stato lanciato un appello alle armi per gli uomini di età compresa tra i 18 e i 55 anni. Sono migliaia i profughi che hanno varcato il confine. Anche per chi sceglie di restare le cose non sono facili, a partire dai bambini che devono rimanere chiusi in casa. Le persone sono nel panico anche per il Covid: ci sono ancora moltissimi contagi, gli spostamenti per andare dal medico o in ospedale sono molto pericolosi e, in ogni caso, gli ospedali specializzati hanno difficoltà a far fronte all’emergenza. Mancano fondi e il personale inizia a essere distaccato per curare i feriti di guerra in aumento.
Per tutto il tempo del nostro incontro, Tania si è stretta le mani con movimenti brevi. Una volta terminato, mi ha accompagnata al cancello e mentre ci salutavamo mi ha detto: «non è giusta, tutta questa sofferenza, non è giusta…».

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