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Ravenna/Cesena, andata e ritorno

Foto Adriano Zanni

Giovedì mattina mi risveglio a Sant’Alberto, a casa dei genitori della mia fidanzata. Il mio paese è evacuato.

Decido di provare a raggiungere l’ufficio e mi metto in macchina intorno alle sette del mattino per provare quella che, scoprirò poco più avanti, sarà una specie di anabasi. La mia azienda è a Longiano, vuol dire 60 chilometri che all’atto pratico diventeranno 75, percorsi in tre ore circa oltrepassando Ravenna, Cesena e zone adiacenti. Forse è incosciente ma bisogna anche fare cose.

Lo stato del Montone è quello a cui sono più direttamente interessato: visto dall’Adriatica è impressionante. Gira voce che stia tornando sotto il livello di guardia ma sembra scorrere a un metro scarso dall’argine. Il Ronco è ancora peggio: mancano tre fili d’erba e Madonna dell’Albero finisce sott’acqua. Le arterie principali sono bloccate, si va su per il Dismano armati di pazienza. A Sant’Andrea in Bagnolo la gente è già fuori dalle case a pulire, usano badili scope e bestemmie che comprendi leggendo i labiali anche se piove ancora e il finestrino resta chiuso. Attraverso il Savio in via Torino, tra Pievesestina e Ronta. Il fiume ha esondato anche lì, ovviamente: c’è fango per terra sul ponte, e una quantità impressionante di cadaveri di animali – nutrie, credo. Escono dalle tane allagate dalla piena e vengono stirate in strada. Conto vittime ignoto.

Il traffico nella mia direzione si snellisce mentre attraverso la prima zona commerciale di Cesena, a ridosso del centro Coming. E lì trovo ad attendermi qualcosa che non so gestire bene dal punto di vista emotivo, una sorta di blue pill involontaria, il futuro possibile di un’estate che pensavamo avremmo passato in bolgia. Il primo gigantesco cartello è alle porte dell’area urbana di Cesena: il 6 luglio gli Europe suoneranno a Ferrara. Nella foto sono in fila, hanno uno sguardo truce e motivato che sembra compensare in determinazione quello che hanno perso in età anagrafica. Parte in testa la canzoncina. Questi giorni è tutto un final countdown: quanti centimetri all’esondazione, quanti metri cubi fuoriusciti dove, quante persone esodate per quanto tempo.

Più avanti altri concerti, tutti sui tabelloni: Articolo 31 e Mr. Rain tra quelli che ricordo, e poi le affissioni commerciali: macchine nuove di zecca (serviranno), palestre per scaricare lo stress (servirà), promozioni sugli elettrodomestici (serviranno). Sui condizionatori c’è una bella occasione.

Intanto sui social sta montando una polemica, ed essendo i social è già diventato un mezzo romanzo di cappa e spada. Stasera Springsteen suonerà a Ferrara, s’è deciso. Stanno tutti a raccogliersi perché è importante in questo momento prendersi un attimo per cantare insieme, o a starnazzare perché l’avidità degli affaristi che pensano solo ai soldi e bla bla bla. Il giorno dopo il livello del dibattito si sarà abbassato ancora, rasentando l’idiozia: Bruce Springsteen non ha detto niente/Bruce Springsteen avrebbe potuto dire qualcosa/Bruce Springsteen non sapeva. Colpevolisti e innocentisti. Era già tutto successo. In questi casi la gente che parla con un briciolo di cognizione di causa preferisce star zitta, e questa di per sé vale come opinione.

Cesena ha già ricominciato ad esistere, intanto. Ci sono bar aperti, parrucchieri aperti, concessionarie con le auto fuori e ditte di trasporti che s’arrabattano per svicolare in mezzo ai blocchi del traffico. I supermercati vendono la roba che è rimasta sugli scaffali, la gente spezza i turni o rimedia mezza giornata di ferie per andare a spalare intorno al Savio.

Il pomeriggio, al ritorno, andrà peggio. Sul Dismano ci sono altre fuoriuscite, roba che al mattino non c’era più; la gente sta ancora spalando e bestemmiando, gli automobilisti procedono a passo d’uomo. Ci sono cartelli scritti a mano dalle aziende agricole che vendono direttamente i loro prodotti, FAVA PISELLI FRAGOLE CILIEGE (nei cartelli è sempre scritto senza i). Poco dopo inizia un lago articiale dove prima c’era un campo, le case sono sommerse. C’è una strana quiete nell’aria, sembra la laguna di Venezia. Arrivo a Ravenna, taglio da Madonna dell’Albero. Gli argini del Ronco e del Montone hanno tenuto per non so quale miracolo, il livello idrometrico è tornato arancione, si può rientrare in casa. Adesso ci sistemiamo e poi ci mettiamo per strada ad aiutare, penso. Ma per Ravenna stanno iniziando i giorni peggiori. Quelli in cui la Guardia Costiera viene a suonarti il campanello e ti dice che devi rievacuare, e che devi farlo in gran fretta. Quelli in cui s’imparano nomi di canali che non sapevi manco esistessero e oggi minacciano di entrare nel soggiorno di casa tua. E poi c’è da fare un giro al PalaCosta per capire come funziona l’ospitalità, e un giro per capire quali vie sono rimaste aperte per andare dove, altri supermercati coi banchi verdura spaccati in due, gelaterie aperte a mezzo chilometro dal disastro, e un amico che ti chiama e dice che sei il benvenuto a casa sua per la notte. Poche macchine in giro, tanti mezzi di soccorso.

Gira voce che il Cinemacity sia sommerso – non è vero, ma il punto d’accoglienza non c’è più. I cartelli dei film sono rimasti appesi, credo. Fa tutto un po’ Nuovo Cinema Paradiso.

Dietro ogni vetrina aperta o chiusa c’è una storia diversa, una scelta o una necessità, qualcosa che magari è successo a trenta chilometri da qui e ridisegna il territorio. Pezzi di strada che continuano a comparire e scomparire dalla mappa – se nessuno la percorre, una strada esiste ancora? Prima o poi passa, immagino.

Il lunedì alla Fornace Zarattini è ancora piena d’acqua, la supercie riflette il sole con un bel tono blu-verdastro (gasolio, credo).

* Francesco Farabegoli, cesenate trapiantato a Ravenna, scrive o ha scritto su riviste culturali come Vice, Rumore, Esquire, Prismo, Il tascabile, Not