Cavina, lo scrittore con badile e penna: «Nascerà un libro, “Tropico del fango”»

Nei giorni più drammatici del maltempo, lo scrittore Cristiano Cavina di Casola Valsenio ha avuto la casa allagata a Faenza e non aveva contatti con i familiari nel borgo: «In collina si rischia lo spopolamento, spero diano case gratis a chi vorrà viverci»

348556807 6930612316965783 6475632528585963997 NQuello di Cristiano Cavina con Casola Valsenio è un legame solido che dura da tutta la vita. Non solo perché lì lo scrittore è nato e ha i suoi affetti, ma anche perché dopo il suo trasferimento a Faenza ha continuato a viverci, almeno virtualmente, attraverso i suoi libri. La tragedia dell’alluvione in Romagna lo ha colpito su più fronti: nella sua casa faentina, che si è allagata («Ma nulla in confronto ai miei vicini in zona Borgotto, lì è l’inferno») e nella sua Casola, dove la madre e tanti amici sono rimasti isolati per giorni.

Sulla sua pagina Facebook sono diversi i post in cui racconta i momenti dell’emergenza passati con i piedi nel fango e il badile in mano, aiutando chi ne aveva bisogno. Tra questi, ne spicca uno del 18 maggio in cui chiede “Qualcuno sa dove è stata evacuata mia mamma?”. «A Casola non c’era connessione – racconta – e qui a Faenza girava un vocale che diceva che a Casola stava finendo il paese nel fiume. Io non sapevo che fine avevano fatto mia mamma, tutti i miei parenti e i miei amici, e non c’era modo di saperlo, così sono andato subito a vedere, anche se l’unico modo di arrivarci era passare con la macchina sopra mezza frana».

Per fortuna in paese i residenti erano già stati tutti evacuati, ma per loro quelli di metà maggio sono stati comunque giorni lunghissimi: «È andata via la luce e sono stati tutta la notte al buio a sentire il rumore dei monti che cadevano nel fiume. Casola è trenta metri sopra l’acqua, era impossibile che si allagasse… il problema è che la parte di paese che dà sul Senio si staccava, si sentivano le montagne venire giù nel buio».

Sin da subito i casolani hanno dovuto fare i conti con le conseguenze delle frane, che sono state devastanti per il territorio e per le attività agricole: «Un mio amico allevatore è stato cinque giorni isolato a San Rufillo, lo tenevano lì perché era l’unico che aveva una radio che funzionava e faceva i collegamenti con i vigili del fuoco per dire chi aveva bisogno. Lui ha un’azienda avicola molto grossa e ha perso 120mila pulcini». La comunicazione, infatti, con le strade interrotte o franate, è stato il problema principale da affrontare: «I primi giorni ho aiutato portando in paese i giornalisti e la troupe che non sapevano come arrivare, io da casolano conoscevo le strade e i percorsi più agevoli. I primi giorni a Casola c’erano più elicotteri che a Los Angeles».

347435917 249695817580422 6588605973632047664 N (1)Adesso il paese è accessibile dalla strada provinciale, anche se con quattro semafori per il senso unico alternato, mentre tutte le altre strade non ci sono più. La viabilità interrotta o inesistente rappresenta un grave problema soprattutto per agricoltori e allevatori, che in alcuni casi riescono a far avere il fieno agli animali solo grazie agli elicotteri. «Tutto l’appennino da Bologna a Cesena – racconta Cavina – è costellato di chiazze marroni in mezzo al verde dei boschi e dei prati, sono come immense coltellate». A Casola, poi, la coltivazione dei castagneti ha subito un durissimo colpo: «Anche se costa tanto e bisogna fare dei sacrifici una cucina e un salotto li ricompri, ma un castagneto di 400-500 anni non lo vendono all’Ikea».

Il timore di Cavina, come quello di molti, è che questa catastrofe acceleri lo spopolamento degli Appennini con conseguenze disastrose anche sulla cura del territorio: «Nella lunga distanza sarebbe ora che capissero che bisogna ripopolare quei posti, che la gente ci vada ad abitare, che ci siano collegamenti che funzionino, servizi…perché poi se non ci abita più nessuno non c’è neanche chi tiene puliti i fiumi che scorrono in mezzo ai boschi e ai campi, ovvero i contadini che ci lavorano e la gente che ci abita. Io spero che diano la casa gratis a famiglie che vogliono andare ad abitare là. Il resto si aggiusta con le ruspe».

Per Cristiano Cavina i giorni dell’alluvione hanno coinciso con alcuni eventi importanti, tra cui la pubblicazione del suo ultimo romanzo Il ragazzo sbagliato, uno young adult scritto a quattro mani con Giada Borgatti. Alla partecipazione al Salone del Libro di Torino invece ha rinunciato: «È stato naturale, c’era bisogno qua. Al libro ho smesso di pesarci subito. Quando passi una notte a chiederti se riuscirai a salvare le tue figlie o meno e a sentire le urla dei tuoi vicini portati via con l’elicottero, i libri vanno al loro posto».

La scrittura, però, non l’ha abbandonata nemmeno nei momenti più duri. Gli è servita per mantenere vivo il ricordo e testimoniare quanto accaduto attraverso dei «reportage in diretta» delle sue giornate. Da questa esperienza nascerà un nuovo lavoro che ha già un titolo: «Si chiama Tropico del Fango – spiega – perché rappresenta la linea netta in cui sotto è una cosa e sopra un’altra». Un po’ come l’alluvione, che ha cambiato per sempre il volto di un territorio.

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